Resta con me di Adeline Dieudonné
di Tiziana Pasetti
Trama – S. sta preparando la colazione per lei e per M., nella piccola casa a pochi passi dal lago dove stanno passando qualche giorno insieme. Giorni che M. ruba alla sua famiglia, una moglie e un figlio, con la scusa di trasferte lavorative, e S. consegna al suo passato, per emanciparlo. S. e M. hanno una storia da otto anni, una storia che va bene così, una storia d’amore che M. divide con la sua storia famigliare e S. divora trovando nell’assenza di stabilità quotidiana un modo per essere subalterna come è sempre stata nelle sue storie, prima con il marito e padre di sua figlia, Romain, poi con Hugo. M. non la fa sentire liquida, M. la fa sentire concreta. Quella mattina M. si è svegliato presto, ha indossato il suo costume, e dopo aver posato un bacio sulla fronte di S. è andato a nuotare. È stato un attimo o forse poco più quello che è bastato per passare da una bracciata sicura in quelle acque al galleggiare senza vita: S. corre veloce, si butta, recupera il corpo, lo trascina a riva, prova a rianimarlo. Tutto inutile, M. non c’è più. Non è pronta, S., a lasciarlo andare. Non c’è più lo spirito ad animare quelle membra amate ma c’è un corpo da lavare, accarezzare, mantenere, continuare a baciare, adorare, scaldare. E c’è una moglie che deve sapere. Una donna alla quale riconsegnare un corpo.
Un assaggio – Vestivo Nina, annodavo la fascia portabebè con troppa disinvoltura, una voce in me sussurrava che quei gesti di madre esperta mi avrebbero rinchiuso per sempre in quella prigione domestica. Per strada, al supermercato incrociavo soprattutto vecchi e pensavo che le nostre giornate erano simili. La noia, la solitudine, la reclusione, vagamente scongiurate giusto il tempo di una raccomandata da andare a ritirare alla posta, di un appuntamento in banca, di una passeggiata che si preferisce breve per via del corpo che cigola. (…) Ci spacciano queste come le più belle settimane della nostra vita, le chiamano «congedo», fortunelle che non siamo altro. E io ci avevo creduto. Mi ero immaginata giornate a dormicchiare facendo le fusa, la pargola teneramente addormentata nella sua cesta di vimini, il sole obliquo che riverbera su un plaid di cachemire bianco, l’odore fresco di bucato, io che mi perdo nelle opere complete di Dostoevskij, ascoltando Bach. Col cazzo. (…) Ci ho messo degli anni a capire l’imbroglio. Romain, se io esprimevo un mio bisogno, se reclamavo un cambiamento, rifiutava semplicemente la discussione, guardava da un’altra parte, cambiava argomento, accendeva la TV. Lui, impassibile, monosillabico, mi rinviava l’immagine della rompiscatole che temevo di essere. Non mi restava che scegliere se accettare o rompere. E mi vedevo capitolare, facendo mia la figura martire della mater dolorosa con un entusiasmo sospetto.
Leggerlo perché – Ho scelto un brano in cui M. non c’è. Ho scelto un brano in cui è racchiusa la ragione di M., la modalità di un amore nascosto, da tenere in parte segreto. Una donna che è stata moglie, una donna che è diventata madre e che ha poi trovato la forza per chiudere una relazione banale e violenta, una donna sola che accetta di vivere un amore sbilanciato: lei libera, lui sposato. Resta con me è un romanzo coraggioso, pieno di stimoli. Riflettere sulla persistenza della messa in scena, recitare a soggetto, come unica garanzia della continuità emozionale. Estromettere dallo spazio d’amore la totalità, la resa. Non può dare nessuna risposta definitiva, la vita, e la morte non può fare altro che cristallizzare gli istanti, amplificare gli interrogativi rimasti inespressi.
Adeline Dieudonné, Resta con me, Solferino
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