Trama – Hemingway prestò servizio in Italia durante la Prima guerra mondiale in qualità di conducente di ambulanza per il Regio Esercito. Da quell’esperienza nacque la materia narrativa di A Farewell to Arms, romanzo pubblicato nel 1929 nel giorno del crollo della Borsa di New York. Siamo nel 1917 e il figlio di un diplomatico americano decide di prestare servizio presso l’esercito italiano come conducente di ambulanza. Dopo una vacanza (sulle montagne quando arrivava la neve i combattimenti erano ‘congelati’ in attesa della primavera), al ritorno, conosce una ragazza, una Vad (Assistenti Volontarie Dottori) inglese, sulla quale aveva già messo lo sguardo il suo amico, il tenente Rinaldi. Frederic Henry e Catherine Barkley si innamorano. Dopo il ferimento di Frederic i due hanno modo di passare del tempo in Svizzera, lontano dalla guerra, e dedicarsi al loro sentimento, immaginare un futuro, veder crescere il bambino che Catherine aspetta. Ma la guerra non è ancora finita e dire addio alle armi è impossibile.
Un assaggio – L’anno dopo ci furono molte vittorie. La montagna di là della valle e il fianco della collina col castagneto furono conquistati e ci furono vittorie di là della pianura sull’altipiano a sud e attraversammo il fiume in agosto e andammo a stare in una casa di Gorizia che aveva una fontana e molti grandi alberi ombrosi in un giardino cintato e da una parte un pergolato di glicini violacei. Ora i combattimenti si svolgevano nelle montagne adiacenti, meno di un miglio lontano. La città era molto carina e la casa molto bella. Il fiume scorreva dietro di noi e la città era stata conquistata molto bene, ma le montagne non eravamo riusciti a prenderle ed ero molto contento che gli austriaci avessero l’aria di voler ritornare nella città a guerra finita, perché così non la bombardavano per distruggerla ma soltanto un poco, colpendo obiettivi militari. La gente continuava a vivere in città e c’erano ospedali e caffè e artiglierie nelle strade secondarie e due case di tolleranza, una per la truppa e una per gli ufficiali. Alla fine dell’estate, le notti fredde, i combattimenti sulle montagne di là della città, il ferro del ponte ferroviario segnato dalle bombe, la galleria crollata accanto al fiume dove aveva avuto luogo la battaglia, gli alberi intorno alla piazza e il lungo viale alberato che conduceva alla piazza; tutto questo e le ragazze che c’erano in città, il re che passava in macchina e, adesso, gli si vedeva talvolta il viso e il piccolo corpo dal lungo collo; e l’improvviso interno di una casa cui le bombe avevano sfondato una parete, e calcinacci e macerie nei giardini e talvolta nella strada, e che tutt’insieme la faccenda andasse bene sul Carso rese l’autunno molto diverso dall’ultimo autunno che avevamo passato in campagna. Anche la guerra era cambiata.
Leggerlo perché – È una storia scritta divinamente, un grande romanzo che unisce la storia di una guerra e la storia di un amore. Splendido il gioco di parole del titolo (impossibile da replicare in italiano) che in qualche modo spoilera il contenuto del racconto. Quando quest’estate – passeggiando lungo Oak Park, a Chicago, alla ricerca degli esperimenti architettonici di Frank Lloyd Wright – mi sono trovata per caso davanti alla casa in cui Ernest è nato, mi è tornata una grande voglia di rileggere qualcosa di suo e Addio alle armi, letto a tredici anni perché la prof voleva ‘portarci’ nell’atmosfera di Caporetto e nel senso di una sconfitta, è stata una scelta casuale ma come sempre quando si tratta di libri giusta. È stato tutto un altro Ernest, tutta un’altra guerra.
Ernest Hemingway, Addio alle armi, Mondadori
Traduzione di Fernanda Pivano
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