di Tiziana Pasetti
Trama – Fred Malinowski è un giovane psichiatra comportamentale di successo. Siamo nel 1971 e gli viene affidata la direzione di un istituto, Boulder, che non naviga in buone acque. Sono gli anni della rivoluzione nella scienza psichiatrica e Fred crede nella deistituzionalizzazione, nel reinserimento in società dei pazienti e soprattutto crede nel progresso nelle persone affette da un disturbo nello sviluppo. Nella disabilità mentale Fred vede un’innocenza e per difenderla e prendersene cura si batte con tutta l’anima. Nel Montana si trasferisce con la giovane moglie, Laura. La vita nell’istituto richiama tutte le attenzioni del professionista e la donna si sente invisibile nonostante la passione che li lega. In più, a destabilizzare il legame, subentra Penelope, una giovanissima – ha solo sedici anni – internata che si innamora del suo medico. Penelope soffre di crisi epilettiche: in quel tempo erano sufficienti per rinchiudere una persona in un istituto. Penelope è bellissima e ama la poesia. Laura è meravigliosa, ama dipingere, mette al mondo il loro bambino. Fred è confuso. Chi delle due avrà la meglio, chi conquisterà davvero il cuore avido di emozioni del geniale signore della Mente?
Un assaggio – Lavorare in un istituto richiede lontananza, sei sigarette, svariate birre e una camera di decompressione chiamata automobile. E anche un tragitto abbastanza lungo da permettere ai pensieri che non si sono ancora formati di formarsi, a quelli sommersi di riemergere e agli eventi di riscriversi. Come i poliziotti e i pompieri e i soldati, gli psichiatri di Stato imparano da soli a separare le esperienze: casa versus ospedale. Gli intervalli servono ad analizzare. Fred beve una birra dalla confezione da sei che ha preso da portar via. Abbassa il finestrino per scrollare la cenere della sigaretta e il freddo persistente delle montagne gli raffredda la mano. Fatta eccezione per le luci posteriori di Pete davanti a lui, non ci sono altre automobili in strada. Tutto è silenzioso e magnifico. Ricorda a se stesso che, nonostante le tribolazioni del suo lavoro, ama questo posto. Quando è arrivato per il colloquio, è rimasto meravigliato dalle montagne che si ergevano attorno a lui, le valli che si stendevano color marrone dorato, il cielo così grande e azzurro da non riuscire a descriverlo. «Come il lago Michigan» aveva detto a Laura quando era tornato, «ma più grande, più profondo». «Non possiamo trasferirci in un posto solo per il cielo». «Ti ho sposata per gli occhi». «No, non è vero».
Leggerlo perché – Che gioia infinita leggere un romanzo vero, complesso, costruito e montato alla perfezione! Virginia Reeves ha scritto una cosa pazzesca, ha intagliato caratteri e protagonisti indimenticabili, verosimili, deliziosi e insopportabili nello stesso tempo. Solo il coraggio di uno scrittore vero può consentire alla narrazione di inciampare nella trama dell’esistenza, di trovare il senso nella incompletezza delle relazioni, nella loro fragilità. Il finale della storia è così inaspettato e così ‘religioso’, così giusto, che l’unica cosa che riesci a fare, poi, è accarezzare la carta delle pagine, la copertina, accarezzare Laura e la sua inflessibile fiducia nel sentimento che non muore anche se assume una forma e un destino nuovo, accarezzare Penelope e la sua crescita, accarezzare Tim (non voglio spoilerare troppo), accarezzare ovviamente Beau, abbracciare – ecco, lui davvero te lo stringi forte, lui è tutti, tutti siamo immensi e piccoli così, così umani – Fred.
Virginia Reeves, Anatomia di un matrimonio, Edizioni Clichy
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