Trama – Milioni di bambini italiani, in un lasso di tempo che va dagli anni Trenta alla metà degli anni Ottanta, ha vissuto l’esperienza delle ‘colonie estive’. Molti nella forma giornaliera, con partenza al mattino e ritorno nel tardo pomeriggio, moltissimi in quella residenziale, dalla durata media di quindici giorni. Il professor Pivato racconta le colonie intese come monumento rappresentativo di una architettura razionalista propria del periodo di riferimento (espressione fisica di un fascismo che ancora prima del periodo bellico ha ridisegnato le geografie di un paese e anche di un popolo) ma soprattutto sottolineatura di una proiezione sociale del mondo dell’infanzia. I bambini smettono di essere potenziali adulti e assumono una centralità, cominciano a diventare degni di attenzione e cura. La propaganda insisteva, su questo, elevando Mussolini a “grande babbo spirituale dei fanciulli” e “padre vigile e premuroso della salute fisica e morale dei suoi figli”. Ritrovare l’Italia è la collana alla quale questo titolo appartiene. Ritrovare l’Italia attraverso questi monumenti parlanti, contenitori di una Storia più grande, di un tempo, e di tante singole, piccole, vite.
Un assaggio – Negli anni Trenta le colonie diventano i luoghi di una nazionalizzazione tenacemente perseguita dal fascismo. E nel dopoguerra affiancano la ricostruzione e la rinascita del paese in un momento in cui l’assistenza pubblica e privata allevia le condizioni di indigenza delle famiglie italiane. “Andare per colonie” è un viaggio nella storia del costume, nelle consuetudini economiche e sociali delle famiglie per oltre mezzo secolo di storia italiana. Ripercorrere la storia delle colonie significa anche, se non soprattutto, esplorare una delle forme dell’archeologia più recente, quella del mondo dell’infanzia del Novecento. Per generazioni di bambini, il soggiorno in colonia ha rappresentato una sorta di rito di passaggio. E, come per tutti i riti di passaggio, le emozioni evocate in seguito sono soggettive: dal piacere al malumore, dalla partecipazione al distacco. Le colonie sono straordinari contenitori di memorie. Negli archivi della scrittura popolare si affollano i ricordi degli adulti che rievocano la loro infanzia in colonia.
Leggerlo perché – Avrei dato chissà cosa, quando ero bambina, per andare in colonia. A inizio luglio, per quindici giorni, partivano le mie cugine Lara e Simona. Zio Pino lavorava al Poligrafico e ogni anno lo Stato spediva i figli degli impiegati statali a Cesenatico. C’era un rito di preparazione fantastico, si andava a Roma a ritirare borse, tute, divise, numeretti da cucire per identificarne l’appartenenza e poi, la sera prima della partenza, si cenava tutti insieme a casa di zio Peppino per salutarle. Quando poi tornavano diventavano le protagoniste assolute: sapevano canzoni nuove, avevano stretto amicizie, erano non so se cresciute ma di certo cambiate. Erano state in colonia! E in colonia, agli inizi degli anni Cinquanta, andava anche mio padre Franco. Figlio di un capostazione veneto e di una crocerossina partiva con il treno per andare a Porto San Giorgio. La prima volta aveva sei anni “e fu una grande festa”. L’ultima ne aveva compiuti da poco dieci “ma era appena morto papà Emilio e io quell’estate non sono stato felice”. L’ho accompagnato un mese fa a rivedere quel luogo. Oggi ha ottant’anni e i ricordi sono vivi, moltissimi felici anche se venati di nostalgia. Io l’ho letto perché non ho ricordi diretti ma su quelli di chi ha vissuto il tempo della colonia ho costruito sogni, forme indirette ma reali di vita.
Stefano Pivato, Andare per colonie estive, il Mulino
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