“Mia figlia non era obbligata a testimoniare contro di me. Ha scelto lei di farlo. È stata colpa di Rose Gold se sono andata in prigione, ma non me la prendo con lei. Se dobbiamo proprio puntare il dito, il mio è diretto al pubblico ministero e alla sua fantasia smisurata, alla giuria credulona e ai cronisti assetati di sangue. Tutti a invocare giustizia. Ma quello che volevano era una storia. (Tirate i fuori i pop-corn, ragazzi, perché ne hanno scritta una da paura). C’era una volta, hanno detto, una madre malvagia che aveva avuto una figlia. La figlia, a quanto pare, era molto malata e presentava problemi di ogni genere. Aveva un sondino nasogastrico, perdeva i capelli a ciocche ed era talmente debole da dover girare su una sedia a rotelle. Per diciotto anni nessun medico riuscì mai a capire quale fosse il suo male. Poi, arrivarono due agenti di polizia a salvare la figlia. E, pensate un po’, la ragazza era perfettamente sana, mentre quella malata era la madre malvagia. Il pubblico ministero disse a tutti che la madre aveva avvelenato la figlia per anni. Era colpa della madre se la figlia non riusciva a smettere di vomitare, se soffriva di malnutrizione. Abuso aggravato su minore, così lo definì. La madre doveva essere punita”.
Questo thriller psicologico è una corsa pazzesca verso l’ultima pagina. Patty, la madre, Rose, la figlia. Sullo sfondo, la piccola comunità di Deadwick, che per diciotto anni assiste alla misera vita della povera Rose, ragazza malata, dell’eroica Patty, madre assoluta. Nel mezzo e tutto intorno, però, all’inizio invisibili, fioriscono bugie. Rose non era davvero malata, era tutta una messinscena orchestrata alla perfezione dalla madre, una sorta di gioco di ruolo più vero del reale. Rose si ribella, riesce a salvarsi e spedisce sua madre in carcere. Cinque anni di reclusione e poi la libertà. Ma chi c’è, fuori, ad attenderla? C’è Rose. Patty è una madre cattiva e abusante, una manipolatrice che ha spogliato la figlia di ogni autonomia? Rose è la figlia ‘smontata’ dopo essere stata creata, partorita, da una madre folle oppure no? Ripeto, è una corsa pazzesca, ogni frase viene calamitata dalla successiva, ogni paragrafo, ogni pagina: è un libro di quelli che cominci e non chiudi fino a quando non arrivi alla fine.
È un thriller, sulla trama non posso dire di più. Però posso dire molto sul perché questo è un libro che andrebbe letto come ‘Manuale di Salvataggio dal Matricidio Vario ed Eventuale’. La maternità è argomento purtroppo assai edulcorato, soprattutto in queste nostre latitudini. La madre è figura santa, figura buona, figura celeste per definizione. Una grande confusione alberga nei dibattiti: donne che rincorrono gravidanze, donne che descrivono gravidanze minuto per minuto, donne che mostrano nudi globi addominali di varie forme e dimensioni a destra e a manca, donne che scrivono di maternità quasi fosse questa una parola-aureola. La madre non è nulla, in sé e per sé. È una conseguenza di un atto sessuale o di una inseminazione, è una decisione o un accadimento. La madre poi, a figlio nato, può essere qualunque cosa e questo dipende dal carattere, dall’indole, dal contesto e anche dai contorni sociali. Una madre, questo è importante dirlo, può essere la persona peggiore che la vita possa farti incontrare: e quando accade è un ergastolo, il peggiore. Il matricidio non è quello, o non solo, della madre che fisicamente uccide il figlio. Matricidio è l’ombra nera che molte genitrici riversano per tutta la vita sui figli. L’invadenza, la supponenza, tutto giustificato da quell’aureola, dal mito. Matricidio è un parto incompleto, un continuo cibarsi della quotidianità di un figlio che non assume mai la connotazione di ‘individuo’. E quando un figlio cresce nell’ombra qualcosa, di poco luminoso, accade anche dentro la sua anima.
Stephanie Wrobel, Cara Rose Gold, Fazi Darkside
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