“(Repubblica, 1946) Non impressionano più le numerose esecuzioni di matrice politica, spesso comunista, invece fa rabbrividire il massacro compiuto da Rina Fort il 29 novembre a Milano dalle parti della stazione Centrale. Ammazza la moglie e i tre bambini, dai 7 anni ai dieci mesi, dell’amante. La Fort ha un’esistenza difficile alle spalle, nel ’45 è stata assunta nel negozio di tessuti di Giuseppe Ricciardi, un catanese, la cui famiglia è rimasta nella città d’origine. La relazione tra i due non incontra ostacoli fino all’arrivo della moglie, informata della sbandata del marito. Licenziata dal negozio, la Fort comprende che è sul punto di essere liquidata pure dal talamo. Il resto è cronaca nera e della peggiore. L’impressione è enorme in tutto lo Stivale, non solo a Milano. Malgrado la guerra abbia abituato a ogni genere di orrori, il barbaro omicidio di tre bambini non può non scuotere le coscienze. Eppure due giorni dopo, il 1° dicembre, la curiosità si concentra sul ritorno a casa della nazionale di calcio, che si lustra ancora dell’etichetta di campione del mondo. Si riprende a San Siro, dove era stata giocata quattro anni e mezzo prima l’ultima partita (4-0 alla Spagna). Affrontiamo un’altra delle bocciate dalla Storia, l’Austria impegnata anch’essa a rimettersi in sesto. Organizzare l’incontro è stato complicato: l’ostracismo internazionale nei nostri confronti non è del tutto esaurito. La voglia di normalità, di svago è così smisurata che, malgrado il gelo, accorrono in 55mila, stupefacente incasso di 10 milioni (circa 350mila euro). L’Italia sconfitta, umiliata, affamata insegue una rivincita attraverso i suoi campioni del mondo. Prigioniero di un sogno ormai svanito, Pozzo ne schiera ben quattro; Rava, Biavati, Piola, Ferraris II. La vittoria (3-2) è molto più sofferta di quanto pretenderebbe il divario tecnico. Il Pozzo imbattuto stratega del campo, che ha fatto del contropiede, applicato ma non dichiarato, l’arma vincente, è invecchiato. Cerca, quindi, di contemperare le proprie idee con la tattica spregiudicata del Torino: in Italia è straripante, a livello internazionale molto meno. Il 28 dicembre sul settimanale Candido appare il primo racconto di una serie destinata a fama imperitura, Don Camillo”.
È da poco arrivato nelle librerie e a mio avviso potrebbe essere uno di quei titoli vincenti da regalare a Natale. Gli eventi e gli uomini della rinascita nazionale dell’Italia nell’industria, nella politica, nella cultura e nello sport. Quindici anni, quelli dal 1945 (“Il 3 maggio è una giornata di sole. L’Italia intera non è più in guerra. Cinquantanove mesi il tragico discorso di Mussolini dal balcone di piazza Venezia, alla buonora siamo fuori”) al 1959 (“Il 25 maggio il quotidiano londinese Daily Mail scrive: «L’efficienza e la prosperità del sistema produttivo italiano costituiscono un autentico miracolo economico». Fra qualche mese il più importante giornale economico del mondo, il Financial Times, assegnerà alla lira l’Oscar delle valute. La donna è considerata un essere inferiore. A sollevare il velo su una realtà spesso invivibile è il libro di Gabriella Parca, Le italiane si confessano. Nella prefazione Zavattini è stato categorico: «L’Italia è ancora un grande harem») un’Italia in cammino che pochi conoscono e molti hanno dimenticato. Quindici anni per rimboccarsi le maniche e immaginare, costruendolo giorno dopo giorno, un futuro. Tanti sono stati i passi falsi, di alcuni ancora oggi – oggi soprattutto – paghiamo le amare e drammatiche conseguenze (un solo esempio: il disastro della Sanità, figlio dello spreco addossato sulle spalle dello Stato sociale). Ma la Storia non è fatta solo per essere glorificata oppure condannata, la Storia è fatta per conoscere, per recuperare il senso e la concatenazione degli eventi, per sapersi difendere e, in fondo, definire.
Alfio Caruso, Così ricostruimmo l’Italia, Neri Pozza
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