“Essere gentili, ringraziare, chiedere scusa, dire vorrei al posto di voglio: sembrano cose d’altri tempi. Gentilezza, cortesia, sono parole dal sapore vagamente ottocentesco e indicano concetti che, a prima vista, possono risultare anacronistici in questo nostro mondo dominato troppo spesso da comportamenti arroganti, aggressivi e furbeschi. Eppure la gentilezza è uno strumento essenziale per la buona riuscita delle nostre relazioni interpersonali”.
‘Per un galateo del parlare da Totò ai social network”, recita il sottotitolo di questo simpatico libretto dalla struttura scorrevole e ricca di curiosità sulla nostra lingua, sul suo uso e consumo, sulla sua evoluzione pratica.
È necessario dedicare un po’ del nostro tempo alla lettura di un testo che oltre alle regole del bel parlare e scrivere ci ricorda che dire non è solo rispettare una forma grammaticale ma anche ricordare che l’approccio, il rispetto dell’altro, sono sue componenti fondamentali? Sì, è necessario. Obbligatorio, direi.
Basta entrare in una conversazione sui social, Facebook e Instagram in particolare o in un gruppo WhatsApp, per renderci conto di quanta sciatteria si è impossessata di noi. La maleducazione di chi si inserisce in conversazioni utilizzando modi barbari, violenti, aggressivi, dimenticando che la conversazione (dal latino ‘cum’, con, e ‘versari’, aggirarsi) è sempre uno strumento di avvicinamento; avvicinamento che può essere di relazione o di scontro proprio in conseguenza dei modi verbali utilizzati.
Propongo un piccolo esercizio. Quando vi capita di scrivere di getto magari perché molto coinvolte da un argomento aspettate quattro secondi prima di inviare il commento/messaggio. Rileggetelo. Immaginatelo in ricezione: vedrete che cambierete modo. La bruttezza formale deforma il messaggio e fornisce al nostro interlocutore la parte meno gradevole del nostro essere. Il contenuto di quanto abbiamo scritto, anche se esatto, perde forza. La violenza, fisica e verbale, è rumore e contatto accelerato: non ha vigore.
Adorabile, a pag. 185, una tabella che riporta un elenco di parole (e modi di dire) orrende. Eccone una manciata: con gli attributi, apericena, birrettina, da paura, e allora ditelo, e barra o, impattante (ndr mio: ho smesso di leggere un romanzo quando mi sono scontrata con questo orrore), ne vogliamo parlare?, braccino corto, a bocce ferme, se non erro, una firmetta, mai più senza, prosecchino, una chicca.
Aggiungo quelle che non tollero io, quelle che mi fanno venire lo strappo della strega alle orecchie, quelle che rischiano di farmi perdere ogni gentilezza: un tantinello, nel mio piccolo, ma anche no, ci sta, l’aggiunta di –errimo, io debbo.
Elisabetta Perini, Dico bene?, Giunti
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