E poi saremo salvi di Alessandra Carati

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Candidato al Premio Strega, è dedicato agli esuli della ex-Jugoslavia e a tutti coloro che fuggono dalla guerra

Al nostro arrivo ci è stata assegnata una casa in un comune alla periferia sud di Milano. La spartivamo con altre cinque famiglie, tutti profughi, compreso lo zio Tarik. La casa era divisa in modo che ogni famiglia avesse il suo piccolo appartamento, due locali affacciati su un quadrato di cemento, in comune con una banca. Il cortile è subito diventato il nostro territorio. Eravamo in tredici, la banda dei bambini. Ci passavamo tutta la giornata, disegnavamo col gessetto, giocavamo ai quattro angoli, mettevamo una rete e ci sfidavamo a pallavolo, a calcio, qualcuno si picchiava. Gli impiegati rimanevano a guardare da dietro i vetri, come pesci di un acquario. Allora il cortile mi sembrava immenso. Qualche mese fa ci sono passata ed è poco più di dieci metri per dieci, un buco. Ci sorvegliava una donna, una bosniaca grassa con il šalče e una radio portatile che suonava a tutto spiano. Stava seduta su una sedia pieghevole di plastica, pensavamo che un giorno o l’altro l’avrebbe sfondata, e solo all’idea ridevamo come matti. Era una vita felice, a cui mi sono abituata in fretta. Per la festa del Sacrificio ci siamo procurati una pecora e l’abbiamo tenuta nel cortile. L’ho voluta io, a tutti i costi; era grazie alla pecora se Isacco si era salvato, perché era morta al suo posto. Non capivo perché Abramo non si fosse ribellato a Dio pur di tenersi suo figlio. Babo non avrebbe mai rinunciato a un figlio maschio, per niente al mondo, nemmeno se Allah gliel’avesse chiesto. Piuttosto avrebbe girato il coltello verso la propria gola”.

Aveva sei anni, Aida, quando i venti della guerra avvolsero l’ex Jugoslavia. Un piccolo paese della bella Bosnia, terra di verde intenso e di acque deliziose, cuore di quella visione politica e sociale sognata e realizzata da Tito, bersaglio perfetto dopo la sua morte per chi, serbi a est e croati a nord-ovest, in quel destino comune non voleva credere più. Nazionalismi di ritorno; affamati, furiosi, spietati. Aida aveva sei anni e viveva con mamma Fatima e i nonni. Babo lavorava all’estero e quando tornava lavorava alla costruzione della casa dove finalmente un giorno non troppo lontano avrebbero potuto vivere da soli, con il nuovo fratellino in arrivo. Quando Mirko, il suo amico del cuore – “eravamo inseparabili, due foglie di un polmone” – le disse che la guerra era a un passo e che se non fossero scappati non ci sarebbe stata salvezza Aida corse da sua madre, “le ho chiesto se era vero, se la guerra stava arrivando e lei mi ha detto: «No. Al villaggio non arriverà mai». Le ho creduto”. La guerra arrivò, al villaggio. Ma Aida e mamma Fatima, dopo aver camminato insieme al nonno per una notte intera nel bosco, riescono a raggiungere un autobus di quelli che caricavano donne e bambini e li portavano via da quell’inferno strappando via tutto da quelle vite, da quelle famiglie, da quelle comunità. Aida arriva a Milano con sua madre e suo padre. Pochi mesi dopo nascerà Ibro. Aida crescerà, andrà a scuola. Diventerà medico. Una vita, una vita per mettere radici nuove e continuare a sentire la potenza di quelle mai recise, vederle negli occhi di un padre, saggiarne il carattere orgoglioso e disperato.

Alessandra Carati ha scritto un libro splendido, misurato, mai retorico. Si è esuli sempre se la fuga è un obbligo, se dietro ti lasci il sangue e le fiamme. Si è esuli mentre si cresce, mentre si tenta un’integrazione, mentre si accetta un aiuto, si è esuli quando ci si innamora, si è esuli quando ci si ammala. Si è esuli quando si scopre che la salvezza non ha sempre un buon sapore e non è mai definitiva.

Lo consiglio oggi, questo libro candidato al Premio Strega e che fa finalmente prendere una boccata d’aria pura alla letteratura italiana, perché proprio oggi dopo due anni di altri conflitti in quella terra che amo così tanto sto tornando. Quella di Alessandra è una costruzione fittizia, i personaggi creazioni di fantasia ma io conosco quella nazione, conosco quella gente, la loro storia così recente e viva. Aida, Babo, Fatima, l’anima di Fatima, Ibro, soprattutto il cuore di Ibro, li porto con me, nella loro casa accogliente e splendida.

Alessandra Carati, E poi saremo salvi, Mondadori

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