I miei genitori di Aleksandar Hemon

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Una famiglia bosniaca, profuga di guerra in Canada

  1. Quando scrivo dei miei genitori mi sento obbligato ad affermare che lo sradicamento dalla Bosnia è l’evento centrale della loro vita, quello che la divide in un prima e in un dopo. Tutti gli eventi successivi a quella crisi si sono verificati in un tempo danneggiato e imperfetto, perché una parte del tempo era perduta per sempre. Al loro arrivo a Hamilton, andarono ad abitare in un appartamento di due camere al quindicesimo piano di un anonimo palazzo, a spese del governo dell’Ontario. Finché non lo arredarono con mobilia di seconda mano ricevuta in regalo, l’appartamento rimase vuoto. Frequentarono corsi d’inglese con altri profughi e immigrati, imparando parole per cose che avevano perso, che non avevano o che non potevano capire. La grande scarsità di proprietà personali li riportava di continuo alla loro condizione di stranieri che abitavano uno spazio altrui, relativamente confortevole, per quanto possibile, e al fatto che il loro spazio domestico si trovava ormai nel ‘prima’, per sempre irraggiungibile. In Bosnia, la mia famiglia aveva delle proprietà: avevamo spazi che potevamo considerare nostri. Non solo abitavamo in un appartamento decisamente grande per gli standard abitativi della società socialista, ma avevamo anche due casette sullo Jahorina. Lasciando la Bosnia da profughi, perdettero tutto”.

Il 2022 è agli sgoccioli e io oggi voglio consigliarvi il libro più bello che ho letto quest’anno. Non ha avuto rivali: è scritto splendidamente, è festa lessicale, è ampliamento (senza rompere gli argini) semantico.

Aleksandar Hemon è nato a Sarajevo e nel 1992, quando scoppiò la guerra nella sua terra, si trovava negli Stati Uniti. Nella casa che aveva lasciato senza voltarsi indietro, senza paura, non è mai più potuto tornare. Da quella casa sono andati via anche i suoi genitori, loro voltandosi indietro per dire addio, loro pieni di terrore. Ad aspettarli una terra straniera, una nuova – perduta – identità: profughi in Canada. Aleksandar Hemon ha scritto un libro che ne contiene tre. I miei genitori racconta la storia, le storie, della madre e del padre, Andja e Petar, due identità ricostruite da recuperare. Tutto quello che l’uomo e la donna erano stati fino allo scoppio del conflitto balcanico a un tratto sembra svanire. Quando lasci una terra in guerra, quella guerra ti morde con ferocia, ti annienta. E quel niente ti fa perdere peso e contorni: arrivi in un luogo pronto ad assisterti, a sfamarti, a salvarti, ci arrivi se sei fortunato, ma ci arrivi nudo, ci arrivi senza il ruolo che ti sei costruito. In un modo o in altro ti aspetta un presente da pioniere, ti aspetta una nuova infanzia, una nuova giovinezza, un quaderno bianco da scrivere. Capovolgendolo, il libro comincia di nuovo: Tutto questo non ti appartiene è una raccolta di quadri narrativi che ritraggono l’infanzia e l’adolescenza bosniaca di Aleksandar, “eccoci qui, Hemon, tu e io”. Il terzo libro è un album fotografico inserito tra il racconto della storia dei genitori e i quadri personali: in silenzio ci parlano i volti.

La guerra sfinisce e non conosce tregua. Chi l’ha vissuta, chi la vive, la vivrà per sempre, è come un marchio che ti segna a fuoco. Chi non la vive, chi ha questa fortuna, versa qualche lacrima, dona capi di vestiario in inverno, latte e pannolini e partecipa ad una raccolta fondi, poi diventa indifferente, poi dimentica. È una caratteristica della pace, una sua superficialità, una sua arroganza. Una sua difesa spietata.

Aleksandar Hemon, I miei genitori, Crocetti Editore

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