Trama – A Roma, in una scuola di periferia, c’è un ex studente, ex professore e adesso preside. C’è un bambino, un adolescente e adesso uomo. Il preside, l’uomo, si è asserragliato all’interno di quell’edificio, lui e un fucile. Dentro ci sono una professoressa e uno studente: il preside non avrebbe voluto ostaggi ma i due nel momento in cui l’uomo ha ‘preso’ lo stabile erano in bagno, dentro lo stesso gabinetto, a vivere un qualche sogno d’amore o fuga. Il preside, l’uomo, mentre dal cortile arriva la voce di un commissario che lo invita a rilasciare gli ostaggi, a ragionare, a non utilizzare quell’arma, ricorda; ricorda e vede scorrere davanti ai suoi occhi la sua infanzia, l’amicizia con Eugenio, l’amore per la scrittura, il matrimonio con Carola, Carola che da vent’anni è andata via, una mattina, lasciando solo un biglietto, non cercarmi, non ce la faccio più. Il preside, l’uomo, ricorda i giorni della scuola, quelli che lo hanno visto bambino, alunno, poi studente e poi professore e infine, per caso, preside. Uno sfogo emotivo, uno sfogo creativo: il passato è un insieme di segni ‘più’ tra momenti, una somma complessa, un significato che arriva poi, che abbraccia e stringe e a tratti soffoca il presente, può liberare il futuro. Il preside, l’uomo, i suoi due ostaggi: la storia di tutti noi.
Un assaggio (remix) – Io mi annoio, dice la professoressa Micheli, sono più di dieci anni che la mia vita è solo noia. Traballa sui tacchi, si appoggia al muro. Tutti i giorni uguali, casa, scuola, famiglia, la televisione, le vacanze d’agosto a Maccarese nella villetta dei genitori di mio marito, due vecchi inaciditi e poi due morti. Lo sa preside cosa dicono le mie amiche? Che sono fortunata, che faccio una bella vita, perché non mi manca niente: ho un uomo che guadagna benino, due figli, un lavoro che mi risparmia i pomeriggi, sono stata a Parigi e a Berlino e a Praga, ho un armadio pieno di vestiti nuovi e costosi, ho gusto e a burraco sono brava, vinco quasi sempre. Ho avuto molti amanti, per distrarmi, per sentire che la carne è ancora viva. Alcuni li conosce anche lei, preside, perché hanno insegnato in questa scuola, per lo più supplenti di passaggio. Ma non è cambiato quasi niente, la noia mi consuma la vita. Ogni volta che mi regalo a qualcuno mi sembra di tuffarmi da più in alto, il volo dura niente. Bisognerebbe credere a qualcosa, a un dio qualsiasi, alla natura, al destino, ma io non credo più a niente, avanzo alla cieca e mi aggrappo al primo che passa. E la vita fugge, vedo le rughe che si irradiano agli angoli degli occhi, i seni che cedono, sento l’utero che si asciuga. Eppure io sono scontenta come lo ero a sedici anni, in quei pomeriggi infiniti, la noia non è invecchiata per niente, non si è trasformata in saggezza.
Leggerlo perché – Sono neanche cento pagine, cento pagine che si leggono con una voglia folle di alzarsi in piedi e leggere a voce alta o almeno sussurrata, leggere una storia come fosse una favola e raccontarla a ogni parte ‘piccola’ di noi. Raccontarla al bambino, raccontarla all’adulto, raccontarla come un sogno e come un incubo, raccontarla come si racconta una storia: è una verità ideale, una verità dolorosa, una verità che può fare e dare spazio. Siamo un viaggio, dice il preside, un viaggio pieno di storie che stringiamo e poi dobbiamo lasciare andare: l’infanzia, gli amici, i genitori, gli amori, gli incontri, gli studi, le letture, una certa poesia, le strade percorse. Lasciare andare e non dimenticare. Guardarsi da lontano e poi sempre più da vicino. Lasciarsi andare, quasi disimparare chi siamo e vagare. Ritrovarci.
Marco Lodoli, Il preside, Einaudi
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