di Silvia Montemurro
Fiamma volteggiava sul palco della Scala di Milano, le braccia si aprivano in un arabesco perfetto, le punte dei piedi sfioravano appena il pavimento, come se la terra non fosse degna di trattenerla. Ballava La Sylphide, il ruolo che aveva sempre sognato, la storia di una creatura eterea, un essere di pura leggerezza che fluttua tra il mondo umano e quello degli spiriti. Sembrava lei stessa una creatura irreale, sospesa tra la realtà e l’immaginazione. Tra il pubblico, sua madre Juliette la guardava con gli occhi lucidi. Una volta era stata lei a calcare quel palco, non come ballerina, ma come cantante lirica.
Ma la sua carriera era finita troppo presto, soffocata da un amore che l’aveva portata in Italia. Eppure, guardando Fiamma ballare, Juliette non provava rimpianto. C’era solo orgoglio, un orgoglio quasi feroce per quella figlia che portava avanti il sogno che lei non aveva potuto continuare. Nella delicatezza di Fiamma, Juliette rivedeva se stessa e, al contempo, qualcosa di nuovo, una luce che la superava.
Accanto a Juliette, sedeva Violetta, la sorella di Fiamma. I suoi occhi erano fissi sulla figura leggera della sorella, ammirati e incantati, ma un osservatore più attento avrebbe scorto anche un velo di tristezza.
Dopo l’incidente che l’aveva resa zoppa, Violetta aveva dovuto rinunciare al suo sogno di diventare ballerina. Anche lei aveva studiato danza con la stessa passione di Fiamma, e per un po’ avevano condiviso il palco. Ma una brutta caduta durante una prova l’aveva strappata al palcoscenico. Da allora, Violetta aveva assistito al successo della sorella con un misto di ammirazione e invidia, un dolore che si sforzava di celare, ma che riemergeva in ogni passo perfetto di Fiamma, in ogni giro che lei non avrebbe mai più potuto eseguire.
Mentre Fiamma eseguiva un grand jeté, librandosi nell’aria, Violetta sentì un nodo stringerle la gola. Era impossibile non ammirarla, eppure, allo stesso tempo, il suo cuore si faceva pesante. Sul palco, Fiamma continuava a danzare. La musica dell’orchestra si sollevava in un crescendo, mentre lei volteggiava, perdendosi nei passi, sentendo solo il ritmo dentro di sé. La sua anima era tutta nella danza, nel personaggio della silfide che desiderava fuggire verso il mondo degli spiriti, lontano dai dolori e dai limiti del mondo terreno. Forse era anche questo il desiderio segreto di Fiamma: fuggire, volare via come la silfide, lasciandosi alle spalle tutto ciò che la tratteneva, i dolori della sua famiglia, le aspettative, persino l’amore che sentiva per loro. E tra tutti gli occhi che la seguivano, c’erano anche quelli di Jean. Lui la osservava con un’intensità diversa, la bocca appena socchiusa in un sorriso affascinato. Non vedeva soltanto la ballerina, ma una giovane donna di straordinaria bellezza e talento, capace di stregare non solo il pubblico, ma anche lui. Jean non sapeva spiegare cosa lo avesse colpito di più: se la delicatezza dei suoi movimenti, la grazia con cui si muoveva, o la luce che brillava nei suoi occhi, una luce che sembrava appartenere a un altro mondo. Ma una cosa era certa: voleva conoscerla, conquistarla, e magari farla sua.
A fine spettacolo attese che lei si cambiasse e le andò incontro, approfittando di un momento in cui era da sola, incerta se incamminarsi verso casa o andare a festeggiare con la compagnia di ballo. Jean cercò di sfoderare il sorriso sicuro e lo sguardo magnetico che era consapevole di possedere.
«Sei meravigliosa» si complimentò, con voce calda e profonda. Fiamma arrossì: era ancora giovane e non era abituata a tanta attenzione, soprattutto da parte di un uomo così elegante. «Mi chiamo Jean, e sono certo che il tuo destino non sia qui. Tu appartieni a Parigi, all’Opera. Voglio portarti con me e farti diventare una stella».
«Mia madre ne sarebbe felice» rispose, «lei ha iniziato lì la carriera da cantante. Anche se poi ha avuto me e mia sorella e…». Si bloccò, improvvisamente consapevole dello sguardo intenso che Jean le stava rivolgendo, ma anche della presenza di sua madre, Juliette, che si stava avvicinando. Fiamma si voltò verso di lei, cercando rifugio nella sua figura, temendo forse che la presenza dell’uomo fosse troppo audace per essere accolta benevolmente.
Juliette, elegante e composta, si avvicinò con l’aria di chi ha già visto tutto nella vita, ma dietro il suo sguardo severo si nascondeva la curiosità di una madre. Il suo abito scuro ondeggiava al ritmo dei suoi passi leggeri, un tempo calcati con decisione sui più prestigiosi palcoscenici d’Europa. Quando raggiunse la figlia, i suoi occhi si posarono su Jean.
«Sono Juliette» si presentò, inclinando leggermente il capo, ma senza sorridere.
Jean si raddrizzò, pronto a rispondere a quell’invito tacito.
«Jean, madame. Sono un grande ammiratore di sua figlia» disse, abbassando rispettosamente la voce ma mantenendo quel tono seducente. «Ho avuto l’onore di assistere alla sua performance questa sera, e devo dire che non ho mai visto tanta grazia sul palco. Lei ha un futuro davanti a sé, un futuro che va ben oltre Milano».
Juliette ascoltò attentamente, e per un istante una scintilla di orgoglio attraversò il suo sguardo. Sapeva che Fiamma aveva talento, lo aveva sempre saputo. «Mia figlia ha una carriera davanti a sé, è vero» ribatté, «ma bisogna anche avere i piedi ben saldi a terra. La danza non è solo sogni e lustrini. È anche tanto sacrificio».
Fiamma, in piedi tra loro, sentiva crescere la tensione, ma non riusciva a distogliere lo sguardo da Jean, che sembrava ignorare la cautela di sua madre.
«Sono d’accordo» replicò subito l’uomo, senza perdere il sorriso. «Ed è proprio per questo che vorrei portare Fiamma a Parigi. All’Opera, avrebbe l’opportunità di raggiungere vette che qui non può neanche immaginare».
Juliette rimase in silenzio, mentre gli occhi di Fiamma brillavano al solo pensiero di Parigi. Ma in quegli stessi istanti, si avvicinava anche Violetta, che fino a poco prima era rimasta in disparte, guardando la scena con una certa curiosità. La sua andatura era lenta e misurata a causa della gamba zoppa, ma i suoi occhi non perdevano neanche un dettaglio.
Violetta osservò Jean con attenzione, cercando di decifrare l’uomo che aveva stregato sua sorella.
«Jean, mia sorella Violetta» disse Fiamma, cercando di rompere il silenzio teso e facendo un cenno verso di lei. Jean si voltò verso Violetta e, per un breve momento, la guardò con lo stesso sguardo affascinato con cui aveva osservato Fiamma. «È un piacere conoscerti» disse con cortesia, ma Violetta non rispose subito, sentendosi improvvisamente vulnerabile sotto il suo sguardo.
«Mia sorella è una grande ballerina» disse infine Violetta, cercando di nascondere la propria amarezza con un sorriso. «Se va a Parigi, diventerà sicuramente una stella».
Jean sorrise, ma Violetta non poté fare a meno di sentire una fitta di dolore mentre pronunciava quelle parole. Anche lei aveva sognato Parigi, aveva sognato di danzare sui grandi palchi. Lei sarebbe rimasta a Milano per sempre e quell’uomo, Jean, sembrava il simbolo di tutto ciò che lei non avrebbe mai potuto avere.
Nei giorni successivi, Jean continuò a cercare Fiamma. Si presentava dopo le prove, le offriva fiori, e le parlava con dolcezza di Parigi, della vita che avrebbe potuto avere lì. Fiamma si sentiva lusingata, persa tra il desiderio di seguire quel sogno e la realtà che conosceva.
Non molto tempo dopo, una sera di fine estate, l’aria tiepida di Milano entrava dalla finestra aperta e riempiva la stanza di profumi leggeri di gelsomino e pietra calda. Fiamma, ancora avvolta nel suo abito di seta azzurra, si muoveva nervosamente per la stanza. Le mani le tremavano leggermente, come se la decisione che stava per prendere fosse troppo grande per lei, troppo pesante da reggere da sola. Aveva pensato a quel momento per giorni, ma ora che stava per parlare, sentiva una strana paura avvolgerle il cuore.
Juliette era seduta sul divano, intenta a cucire uno dei vecchi abiti di scena che usava ancora per le occasioni speciali. Violetta, accanto a lei, sfogliava distrattamente un libro di poesie, ma lo sguardo si posava ogni tanto su Fiamma, percependo il nervosismo della sorella. Era come se nella stanza ci fosse una tensione palpabile, un’elettricità che non si riusciva a ignorare.
Fiamma si fermò davanti a loro, con le mani strette l’una nell’altra. Le sue dita si muovevano in modo irrequieto, e i suoi occhi, solitamente luminosi, sembravano ora pieni di incertezze.
«Devo dirvi una cosa» iniziò, con voce tremante. Juliette sollevò lo sguardo dalla stoffa e Violetta chiuse il libro, entrambe attente. «Sono innamorata di Jean» annunciò Fiamma «e voglio andare a Parigi con lui».
Un silenzio carico di emozioni calò nella stanza. Juliette appoggiò lentamente l’ago sul tessuto e la sua espressione cambiò, passando dalla sorpresa alla preoccupazione. «Fiamma» disse Juliette con un tono calmo ma serio, «è una decisione molto importante. Sei sicura? Sai quanto possa essere dura la vita a Parigi, soprattutto per una giovane ballerina».
«Sì, mamma» rispose Fiamma, cercando di mantenere la voce stabile. «So che è una grande decisione, ma Jean mi ha promesso un futuro. Lui mi ama, e mi ha detto che all’Opera di Parigi posso realizzare il mio sogno. Voglio provare».
Juliette si alzò lentamente, avvicinandosi alla finestra, guardando fuori come se stesse cercando risposte nel cielo serale di Milano. «Parigi» mormorò, quasi parlando più a se stessa che a Fiamma. «Ho amato anche io quella città. È stata la mia casa, quando mi sono trasferita dall’Alsazia. Ma poi la vita ha cambiato tutto». Si voltò verso sua figlia, i suoi occhi pieni di sentimenti contrastanti. «So quanto ami ballare, so che Parigi ti attrae, ma sei sicura che Jean sia davvero la persona giusta per te?».
Fiamma si morse il labbro, sentendo una fitta di dubbio, ma scosse la testa, cercando di respingere quell’incertezza. «Sì, sono sicura. Lui mi ama, e io lo amo. Voglio stare con lui».
Violetta, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, sentì il cuore stringersi. Le sue mani afferravano il libro con forza, le nocche bianche. Nonostante l’affetto per Fiamma, le sue emozioni si mescolavano al dolore. Non era solo gelosia, ma qualcosa di più profondo, una ferita che non si sarebbe mai rimarginata. Anche lei aveva sognato Parigi, anche lei aveva amato l’idea di una vita artistica, di libertà, di successo.
Juliette si voltò verso entrambe le figlie. «Se è quello che vuoi davvero, non posso trattenerti. So cosa vuol dire avere un sogno così grande. Ma ti prego, fai attenzione. Parigi può essere crudele».
«Vi scriverò ogni giorno» rispose Fiamma, cercando di far suonare la sua voce sicura. «E vi prometto che vi farò venire a Parigi appena possibile».
Juliette sospirò, guardando fuori dalla finestra. «Va’, allora. Segui il tuo sogno».
Fiamma si innamorò all’istante di Parigi, che ricordava a malapena, essendoci stata solo da piccola, prima che la madre si trasferisse a Milano. Le strade vibravano di vita, i caffè erano pieni di artisti e musicisti, e ogni angolo pareva una piccola opera d’arte. Le luci dei lampioni si riflettevano sui ciottoli bagnati, e l’aria era intrisa di un profumo indefinibile, una mistura di tabacco, profumo e vino. Il frastuono del traffico e il chiacchiericcio dei parigini la circondavano, eppure, nonostante l’euforia del momento, sentiva una lieve malinconia crescere dentro di lei.
Nei primi giorni visse con Jean in una pensione modesta, una stanza stretta con una finestra affacciata su un vicolo. Fiamma non si lamentava, era felice di essere con lui.
Tuttavia, Jean cominciò a sparire di notte, senza spiegazioni. Lei lo attendeva sveglia, fissando il soffitto, le orecchie tese a ogni rumore.
«Devo solo sbrigare degli affari» si giustificava lui, quando la mattina rientrava, stanco e taciturno. Non le chiedeva più come stesse andando ai provini, non si interessava del suo percorso, dei progressi fatti, e quando lei tentava di parlargli dei suoi sogni, o di ricordargli le promesse fatte, lui era troppo stanco per stare ad ascoltarla.
«Appena sarò meno occupato ti farò visitare Parigi come si deve e ti presenterò a tutti i miei amici» le diceva, quando lei metteva il broncio.
Ma Parigi, con i suoi edifici maestosi e i teatri dorati, non le permetteva di sprofondare nella tristezza. Fu presa come ballerina di riserva all’Opera, e il suo cuore si riempì di speranza. Durante le prove, si allenava con dedizione, ma ben presto si accorse che gli sguardi degli uomini su di lei non erano quelli a cui era abituata. Non c’era ammirazione nei loro occhi, bensì qualcosa di più torbido, inquietante.
Fu durante una di quelle prove che fece amicizia con Marguerite, una ballerina dall’aria consumata, ma dal sorriso amichevole.
«Devi stare attenta» le disse un giorno, dopo aver notato l’inquietudine di Fiamma. «Molti di questi uomini non sono qui solo per ammirare la danza». Marguerite scosse la testa con un’amarezza che Fiamma non aveva mai visto prima. «Io ho dovuto… adattarmi, per sopravvivere. Ma tu sei ancora nuova. Non fare i miei errori».
Fiamma si sentì un nodo stringerle lo stomaco. «Io non lo farò mai» disse decisa, guardando Marguerite negli occhi. «Voglio diventare prima ballerina, e lo farò con il mio talento, non con compromessi».
Jean, dopo l’iniziale passione, sembrava sempre meno interessato a Fiamma. La desiderava ancora, certo, ma se ne andava subito dopo, lasciandola a letto sola e piena di dubbi. Dov’era finito l’uomo dolce di cui si era innamorata? Si sentiva un giocattolo che aveva smesso di riscuotere interesse.Una sera, insospettita dalle continue assenze di Jean, Fiamma decise di seguirlo. Attese che si rivestisse dopo avere fatto l’amore con lui e finse di dormire. Appena lui chiuse la porta, gli andò dietro. Lo vide attraversare le strade illuminate di Parigi, svoltare angoli e fermarsi davanti a una casa elegante. Rimase nascosta nell’ombra, mentre lo osservava entrare.
Un’ora dopo, una donna apparve alla finestra, con in braccio un bambino. Il cuore di Fiamma si spezzò in quel momento. Non era solo, Jean aveva una moglie, una famiglia. Tutto ciò che le aveva promesso era una bugia. Con il cuore spezzato, tornò alla pensione, incerta su cosa fare. Avrebbe voluto scrivere a Violetta, raccontarle tutto e chiederle di raggiungerla, ma l’idea della sorella zoppa, incapace di affrontare un viaggio così lungo, e della madre, che sarebbe stata distrutta dal dolore, la fermò. Restò immobile, soffocata da un senso di impotenza.
Il giorno dopo, decise di affrontarlo.
«Perché mi hai mentito?» gli chiese, con la voce strozzata dal dolore.
Lui abbassò lo sguardo, incapace di rispondere subito. «Sì, sono sposato. Ma ti giuro che la lascerò. Voglio stare con te».
Quelle parole, così vuote, a cui non credeva nemmeno lui, suonavano come un’eco lontana nel cuore di Fiamma, ma lei, disperata, scelse di provare a fidarsi.
Lo raccontò a Marguerite, sperando in un po’ di comprensione. Ma la sua amica rise, una risata amara e piena di disillusione. «Gli uomini sono tutti uguali, cara. Promettono sempre di lasciare le loro mogli, ma non lo fanno mai».
Passarono le settimane, e Jean sembrava svanito nel nulla. All’inizio, Fiamma attendeva con ansia ogni sera il suo ritorno, sperando che lui le avrebbe dato spiegazioni, rassicurazioni, ma la porta della loro piccola pensione rimaneva sempre chiusa, e le notti erano fredde e silenziose. Con il passare del tempo, la speranza si trasformò in una lenta rassegnazione. I soldi che Jean le aveva lasciato, si esaurirono in fretta. Le serate in cui riusciva a strappare qualche soldo come ballerina non bastavano più, e presto si trovò a dover affrontare la dura realtà di Parigi, una città che, senza denaro né connessioni, diventava crudele. Fu Marguerite, la sua compagna di ballo, a offrirle un rifugio, ma anche quello si rivelò più un ripiego che una soluzione. L’appartamento in cui si trasferirono insieme era piccolo e squallido, impregnato di un odore di muffa e disperazione.
Le serate in cui Fiamma riusciva ancora a ballare divennero una tortura. Non danzava più per la bellezza dell’arte, per la passione che l’aveva guidata fino a Parigi, ma per uomini che non la vedevano nemmeno come ballerina. La osservavano come un oggetto, i loro occhi la spogliavano mentre si esibiva, e ogni sguardo la faceva sentire sempre più piccola, più distante da quel sogno che un tempo sembrava così vicino. Il palcoscenico che un tempo l’aveva fatta sentire viva ora era un luogo di umiliazione.
Ogni volta che usciva dal teatro, con le tasche appena riempite di qualche franco sporco, sentiva il peso dell’orgoglio che andava in frantumi. Si ripeteva che tutto questo sarebbe finito presto, che avrebbe trovato una via d’uscita, ma con il passare dei giorni le sue speranze si facevano più sottili, fragili come i suoi passi stanchi. Ogni notte si addormentava con la mente piena di dubbi e domande, senza mai trovare una risposta.
Eppure, nel mezzo di quel caos, continuava a scrivere a sua madre e a Violetta. La lettera di quel giorno era anche più esagerata del solito: “Cara mamma, non sai con quanta gioia ti scrivo questa lettera! Parigi è tutto ciò che avevo sognato e anche di più. Le strade sono piene di vita, la musica e l’arte riempiono ogni angolo, e mi sento finalmente come se il mio sogno stesse diventando realtà. Sono stata così impegnata che non ho avuto neanche un momento per fermarmi a respirare, ma non potevo resistere dal raccontarti tutto. Sono finalmente diventata prima ballerina all’Opera di Parigi! Puoi immaginare? Ogni sera il teatro è pieno, e quando il sipario si alza, sento gli occhi del pubblico su di me. Non c’è niente di più emozionante che essere al centro della scena, con la musica che mi avvolge e gli applausi che esplodono alla fine di ogni esibizione. Ho già interpretato Giselle, Odette ne Il lago dei cigni, e la settimana scorsa ho persino avuto l’onore di essere la protagonista in una nuova produzione! È stato tutto così travolgente.
Il mio appartamento qui a Parigi è bellissimo. Ha una vista sulla città che toglie il fiato, e dalla finestra posso scorgere persino la punta della Torre Eiffel. Non riesco a credere quanto sia cambiata la mia vita in così poco tempo. Ogni giorno mi arrivano mazzi di fiori dai fan e dalle persone del mondo dello spettacolo che mi ammirano. Mi invitano a serate di gala, e tutti sembrano voler conoscere la nuova stella dell’Opera. Mi sembra ancora un sogno, ma è tutto vero.
Sto mettendo da parte abbastanza soldi, e presto sarò in grado di farvi venire qui. Non vedo l’ora di mostrarvi tutto questo: i teatri, le luci, la gente. Violetta adorerebbe questo posto, e sono certa che tu ti sentiresti a casa, con tutte le opportunità artistiche che ci sono qui. Non dovrete più preoccuparvi di nulla, prometto che vi renderò orgogliose.
Ti penso ogni giorno, e spesso, prima di andare in scena, immagino che tu sia tra il pubblico, pronta ad applaudire. Mi dai la forza per continuare a danzare con tutto il cuore, e spero che presto potrai venire qui e vedere tutto con i tuoi occhi. Con tutto il mio affetto e con la promessa di renderti fiera di me, Fiamma”.
Ogni volta che sigillava una lettera, le sue mani tremavano, consapevole che il mondo che stava dipingendo per sua madre e Violetta era un’illusione. Ma non poteva dire la verità. Non poteva deluderle, non poteva farle soffrire.
E così, continuava a inviare soldi. Non erano molti, ma sufficienti a far credere alla madre e alla sorella che la sua vita a Parigi fosse davvero come quella che raccontava nelle lettere. Era come un gioco crudele, una recita che durava da troppo tempo. E mentre i giorni si allungavano e le notti diventavano più fredde, Fiamma si rendeva conto che quel sogno di gloria, di fama e di amore, non era altro che una gabbia dorata, dalla quale non sapeva come fuggire.
Fiamma si affacciò alla finestra dell’appartamento squallido che condivideva con Marguerite. Il cielo di Parigi era grigio, carico di nuvole che minacciavano pioggia, ma la città sotto di lei continuava a pulsare con la sua energia inarrestabile. Le strade erano affollate di persone che si muovevano indifferenti, avvolte nei loro cappotti pesanti, ignorando le finestre spente e i vicoli nascosti dove la miseria si annidava. Anche lei, in quel momento, si sentiva una piccola ombra tra le tante, una delle tante vite che la grande città non avrebbe mai notato.
Le mani le tremavano leggermente mentre chiudeva l’ennesima lettera destinata a sua madre e a Violetta. Avrebbe raccontato ancora una volta delle sue false serate all’Opera, della luce brillante dei riflettori e degli applausi che non si alzavano mai per lei. Sarebbe stata un’altra bugia ben confezionata, una maschera dietro cui nascondere la realtà della sua vita. Ma non era solo la paura di deludere chi amava a spingerla a scrivere quelle menzogne. Ogni lettera che inviava era anche un modo per tenere vivo quel sogno che dentro di sé non aveva ancora voluto abbandonare. Respirò profondamente, stringendo la busta tra le dita. Il vento che entrava dalla finestra le scompigliò i capelli, ma lei lo accolse con un sospiro di sollievo. Quella sensazione di aria fredda sul viso, di vita che continuava attorno a lei, la fece sentire ancora viva, ancora in grado di decidere del proprio destino. Anche se il mondo sembrava crollarle addosso, dentro di sé conservava una forza nascosta, una scintilla che la manteneva in piedi. Non era più la ragazza che era partita da Milano con sogni innocenti e promesse d’amore. Ora, Parigi l’aveva resa diversa, più dura, ma non per questo sconfitta. Si voltò, lasciando la finestra e camminando lentamente verso il tavolo malandato della cucina, dove Marguerite era seduta con lo sguardo fisso sulla tazza vuota di caffè.
La sua amica sembrava persa nei pensieri, il viso segnato dalla fatica di una vita che non era mai stata gentile con lei. Fiamma si sedette accanto a lei in silenzio. Condividevano ormai una vita fatta di compromessi, di serate passate a ballare per uomini che le trattavano come se fossero merce. Eppure, nonostante tutto, c’era ancora un legame tra loro, un legame di sopravvivenza. «Domani vado a vedere se al teatro cercano qualcuna» disse Marguerite, senza sollevare lo sguardo. Era una frase che pronunciava spesso, come se ripeterla potesse farla diventare realtà. Ma anche quella era solo una scusa per continuare a lottare, per non arrendersi del tutto. «Verrò anch’io» rispose Fiamma, con una voce che cercava di suonare sicura. Non poteva permettersi di perdere la speranza. Non ancora.
Marguerite la guardò per un attimo, gli occhi spenti, ma poi le accennò un sorriso stanco. «Tu, almeno, hai ancora una luce dentro di te, Fiamma. Non perderla».
Quelle parole colpirono Fiamma più di quanto Marguerite potesse immaginare. Forse aveva ragione. Forse, nonostante tutto, c’era ancora quella scintilla dentro di lei, quella forza che non l’aveva mai abbandonata, neanche quando il mondo sembrava essersi voltato contro. Parigi l’aveva spezzata in tanti modi, ma non del tutto.
Rimase in silenzio per un momento, poi si alzò dalla sedia e afferrò il mantello.
«Esco un attimo» disse, guardando Marguerite che annuì senza fare domande. Sapevano entrambe che a volte c’era bisogno di stare da sole, di camminare tra le strade senza una meta precisa, solo per ricordarsi di essere ancora vive.
Fuori, l’aria era più fredda di quanto si aspettasse, ma il freddo la svegliava, la faceva sentire presente. Camminò lungo i vicoli, osservando la gente, i carri che passavano, i caffè illuminati. Parigi continuava a vivere, anche quando il suo mondo sembrava essersi fermato. Sentiva i suoni della città, la musica che usciva dai locali, le risate lontane. E più camminava, più aveva la convinzione che forse la sua storia non era ancora finita.
Si fermò davanti a un teatro. Le luci brillavano all’ingresso, e poteva sentire la musica provenire dall’interno. Per un attimo, chiuse gli occhi e immaginò se stessa su quel palco, scorse il suo corpo che danzava con la stessa leggerezza di quando era alla Scala, quando Jean l’aveva vista per la prima volta. Ma questa volta, nel suo sogno, non c’era nessun Jean a prometterle un futuro. Era solo lei, da sola, al centro della scena, padrona del proprio destino.
Fiamma riaprì gli occhi, il cuore ancora in subbuglio per quella visione. Non sapeva cosa l’aspettasse nei giorni a venire, non sapeva se sarebbe mai riuscita a salire su quel palco o se la vita le avrebbe concesso una seconda possibilità. Ma in quel momento, con i piedi saldi sulla strada parigina, si convinse di una cosa: non avrebbe smesso di lottare. Non avrebbe permesso a nessuno, neanche alla città stessa, di spegnere la sua luce.
E con quella certezza, Fiamma si voltò e si incamminò di nuovo, pronta ad affrontare qualsiasi cosa le riservasse il futuro. Perché la sua storia, qualunque essa fosse, era ancora tutta da scrivere.
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