La comunicazione imperfetta di Balbi e Ortoleva

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Un saggio sull'importanza di comunicare bene per evitare malintesi e fratture in coppia, con amici, colleghi e parenti

Trama – La comunicazione è imperfetta e l’imperfezione è inevitabile: questa la teorizzazione esposta in questo splendido, curioso, necessario saggio che parte dalle posizioni classiche e viaggia attraverso ipotesi e intuizioni verso tentativi – che rappresentano vere e proprie mete, mai fisse, sempre contestuali, di correzione, rimedio e adattamento alla natura e funzione del messaggio. Il comunicare è azione movimentata e accidentata, azione sempre ‘disturbata’ da malintesi (capirsi male è una ambiguità inevitabile del parlare che genera disagio e ostilità), malfunzionamenti (involontari o intenzionali, possono comunque risultare produttivi), scarsità e/o sovrabbondanza (il peso informativo incide sulla politica e sull’economia della comprensione), silenzi (dal silenzio codificato a quelli del mittente, del ricevente e dei pubblici fino alla parzialità delle omissioni e alla potenza e fragilità del segreto). La comunicazione non è mai perfetta perché passa, passa di persona in persona, di momento in momento. La comunicazione vive nel e del mutamento, nel e dello scambio. Imparare a comunicare è esercizio di grande umiltà, decisione attiva, scienza.

Un assaggio – La comunicazione, così come viene intesa in questo libro, è condizionata sempre da malintesi, malfunzionamenti tecnici, problemi derivanti dalla lacunosità o sovrabbondanza dell’informazione, silenzi, segreti mantenuti o rivelati e altre forme più o meno deliberate di messaggio indiretto, obliquo. La comunicazione è un processo movimentato, spesso non lineare, in cui i vari partecipanti si devono confrontare, aggiustare il tiro, adattarsi. La riflessione sul malinteso è urgente perché la moltiplicazione dei processi comunicativi e degli strumenti di cui essi si servono, il diffondersi di sempre nuovi canali di trasmissione dei messaggi, la crescente rapidità degli scambi e il moltiplicarsi degli interlocutori frappongono ostacoli e deviazioni crescenti lungo i percorsi della comunicazione. Il rischio di «capirsi male» (o decisamente di non capirsi) proietta un’ombra crescente, e sempre più invadente, in ogni aspetto del vivere. Viene spesso insegnato, come norma di buona educazione, che quando si verifica un malinteso è bene assumersene la responsabilità con un «mi sono spiegato male» e, anche se si è convinti di essersi spiegati benissimo, si deve comunque evitare di accusare l’interlocutore con un «non hai capito». Questa regola serve ad affrontare e per quanto possibile ad attenuare quel rischio di frattura anche umana che i malintesi portano con sé.

Leggerlo perché – Più il mondo si espande nei suoi significati (reali e fantastici) più crescono le richieste di chiarezza da parte di chi quel mondo lo abita. La comunicazione è la prima forma di adattamento esplorativo dell’umano alla cultura di riferimento, ai meridiani e ai paralleli, alle epoche. Parliamo e comunichiamo in casa, anche con noi stessi (e quante volte non ci capiamo!), nei luoghi di lavoro, parliamo con amici, amori, parenti, colleghi e ascoltiamo amici, parenti, amori, colleghi. Non capirsi è molto più frequente e naturale e spontaneo del capirsi: fra di noi e il destinatario della parola, del pensiero, c’è non solo una distanza fisica, ma la sostanza che impasta la nostra storia personale, un mix di insicurezze, paure, abilità, carenze. C’è un paradosso buono; sapersi poco chiari, riconoscersi ‘erranti’, ci avvicina, non ci allontana. “Chi pretende di capire il fiume solo osservandone e descrivendone il letto potrà farsene un’idea stabile, e in fondo rassicurante. Ma è dell’acqua che è fatto veramente il fiume, così come è del fluire ininterrotto, incerto, instabile e confuso dei messaggi, dei mezzi, delle relazioni, delle interpretazioni, che è fatta la comunicazione”.

Balbi e Ortoleva, La comunicazione imperfetta, Einaudi

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