“Abbandono e passione sono due concetti che hanno ingredienti simili, che si sfiorano, che sono in qualche modo connessi. Entrambi si coniugano con l’impossibilità, la difficoltà e la sofferenza. Ogni volta che veniamo abbandonati tendiamo a idealizzare l’altro e riusciamo a trasformare anche un amore comune in una passione potenziale, e così ci rimaniamo invischiati. La passione è infatti collegata all’impossibilità: il fallimento è l’essenza della passione così come dell’abbandono. La signora della porta accanto (1981) di François Truffaut è il film per eccellenza sulla passione destabilizzante. Mi sembra di potervi rintracciare alcune caratteristiche perché la passione scoppi: a) la non conoscenza intesa come gioco di specchi, b) la sicurezza che il rapporto impone, l’eccezionalità degli incontri, c) minaccia dell’abbandono, l’amore che si nutre di pericolo e non di quotidianità d) il gioco ambiguo della presenza e dell’assenza, tenerezza, intimità e sicurezza a tempo, e) la scelta di incontrarsi, la libertà nella relazione, f) furto e dono diventano la prassi usuale, i due si danno il cambio nell’inseguimento, g) come se il proprio valore e la propria esistenza fossero intricatamente connessi all’amante di cui si sente un bisogno vitale per esistere, h) imprevedibilità come prassi, i) assenza di uno spazio per la disillusione in quanto protetta dall’impossibilità a proiettarsi nel futuro”.
Ho scelto come apertura di questo consiglio di lettura non un estratto del libro ma una nota a margine dell’introduzione perché è di rara maestria esplicativa e credo faccia toccare con mano la qualità di questo testo. Umberta Telfener ha indagato in lungo in largo senza dimenticare le superfici, le profondità e le correnti, il grande Oceano dell’Addio, quello abitato da infinite forme vive e pulsanti di abbandoni. Nasciamo ed è un abbandono, moriamo ed è un abbandono: nel mezzo, ancora abbandoni, subiti, agiti.
Quello amoroso è il più luminoso e furioso, appartiene alla famiglia degli squali che attaccano e difficilmente risparmiano, appartiene alle barriere coralline, annodate, apparentemente immobili, in realtà vive, vivissime, anime compresse all’interno di scheletri protettivi. E questo crea, l’abbandono: soffoca i polmoni dell’anima, della vitalità, genera un esoscheletro che ci paralizza.
Intorno all’abbandono ruotano storie, grandi amori, grandi truffe emotive, momenti di crisi definitivi oppure transitori. Intorno all’abbandono si concentrano scarichi inanimati, plastiche, petroli: sono le illusioni, le proiezioni, le idealizzazioni.
La Telfener ci insegna a guardare oltre lo specchio dell’acqua: siamo diversi, uomini e donne. Diversi nella costruzione di senso, diversi nelle aspettative. E siamo, noi, sempre diversi da noi stessi, sempre nuovi, in divenire (che non vuol dire necessariamente crescita): cambiamo noi, cambia quello che mettiamo in gioco, cambia quello che vogliamo, cambia il nostro modo di recepire.
L’abbandono non è solo fisico. Non è solo dire “ti lascio”. Gli abbandoni più profondi sono quelli che avvengono muti, quelli in cui si resta uno accanto all’altro ma ormai senza più contatto di pensiero, senza progetti, senza sentimento schietto, senza corrente. Acqua stagnante.
Un invito a capire. Un invito a indagare i nostri luoghi vuoti per creare spazi.
Umberta Telfener, Le forme dell’addio, Castelvecchi
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