L’oceano leggeva con me di Marina Cvetaeva

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Le lettere d'amore tra Marina Cvetaeva e Rainer Maria Rilke, che in vita non s'incontrarono mai. Un libro che è pura poesia

di Tiziana Pasetti

Trama – Che cosa possiamo farcene di una manciata di lettere? L’Orma ne ha fatto una cosa splendida, un quadernino/cartolina prezioso da leggere e rileggere, uno scrigno di saggezza e risposte a domande che non cambiano con il mutare delle epoche. Marina Cvetaeva e Rainer Maria Rilke, sullo sfondo Boris Pasternak. Due amori, anzi tre, tra persone che non si sono mai incontrate e che nella parola, nella poesia, nella scrittura, hanno trovato almeno in parte conforto, cura. A Rainer, nell’ultimo anno della vita dell’autore già malato, Marina scrive e scrivendo costruisce una barricata d’amore. A Rainer, morto, scriverà comunque: «Ti bacio sulle labbra? sulle tempie? sulla fronte? Naturalmente – sulle labbra, veramente come un vivo. Caro, amami più forte e diversamente da tutto». Marina era stracolma di parole, stracolma di sé, una bulimia esistenziale che la portò alla morte. La sua scrittura è altissima e disperata, saggia e randagia. Amava Rainer, amava Boris: non li conosceva ma importa? Non importa oggi, non importava allora: per innamorarsi basta niente. Amava come riusciva a renderli immensi attraverso l’inchiostro, le forme virtuose – una danza – che questo assumeva sul foglio bianco. Si chiama poesia, è – splendida – l’eresia più potente di ogni tempo.

Un assaggio – Lei non è il mio poeta preferito (preferire è comparare), Lei è un fenomeno naturale che non può essere mio, che non si può amare, ma esiste, oppure (ma è ancora troppo poco!) Lei è l’incarnazione del quinto elemento: la poesia stessa, oppure (ma è ancora troppo poco!) Lei è ciò da cui la poesia nasce, che è più grande di lei (di Lei). Non si tratta del Rilke essere umano (l’umano è ciò a cui siamo costretti), ma del Rilke puro spirito che è ancora più grande del poeta, ed è l’unico che per me si chiama realmente Rilke: il Rilke di dopodomani. Lei deve vedersi da e con i miei occhi: ammirare la propria grandezza attraverso la loro grandezza, quando io La guardo: la Sua grandezza, per tutta la lunghezza della lontananza. Dopo di Lei cosa può fare un poeta? Si può superare un maestro (Goethe, ad esempio), ma superare Lei significa (significherebbe) superare la poesia stessa. Un poeta è colui che supera (deve superare) la vita. Lei rappresenta un compito impossibile per i poeti del futuro. Il poeta che verrà dopo di Lei dovrà essere Lei, ossia Lei dovrà nascere di nuovo. Rainer Maria, niente è perduto. L’anno prossimo (1927) verrà Boris, e Le faremo visita, ovunque lei sia. Boris lo conosco assai poco, e lo amo, come si può amare solo chi non si è mai visto o non è mai esistito. Non è così giovane, ha 33 anni, credo, ma ha un’aria da ragazzo. Non somiglia per nulla a suo padre (il meglio che un figlio possa fare). Credo solo ai figli di madre. È il primo poeta di Russia. Lo so io e lo sa qualcun altro, gli altri aspettano che sia morto per capirlo.

Leggerlo perché – Il carteggio tra Marina e Rainer Maria è poesia pura, nessun dubbio in merito. Ma queste lettere dicono qualcosa di più, dicono qualcosa che oggi esiste in forma diversa: il contatto a distanza, l’amore animato dall’assenza fisica, dalla non conoscenza. Sono immense le immagini che Marina dipinge con la sua scrittura ma è in una lettera non contenuta in questa piccola ma intensissima raccolta che la poetessa scrive (Meudon, febbraio 1928) ad Anna Antonovna Teskovà che troviamo parole che spiegano le ragioni universali della tensione d’amore ‘oltreconfine’: «È tanto tempo che non amo nessuno, amo Pasternak ma lui è lontano, solo lettere, nessun indizio di questo mondo, e dunque: non in questo mondo. Rilke me lo hanno strappato dalle mani. Avrei dovuto andare da lui in primavera. Dei miei non parlo, è un amore diverso, pieno di dolori e di ansie, spesso sfigurato dalla vita quotidiana. Parlo dell’amore all’aria aperta, sotto il cielo, dell’amore in libertà, dell’amore misterioso, quello di cui non v’è traccia nei passaporti, del miracolo dell’altro. Del là che diviene qui. Voi sapete bene che il sesso e l’età non c’entrano assolutamente». Marina viveva di stenti, due figli, un marito malato. Poi è diventata quello che sappiamo ma mentre viveva e scriveva (e magari sperava, sognava) era quello che siamo tutti: un’anima in pena, assetata di perfezione, di emozioni. Aveva 49 anni quando, il 31 agosto 1941, depressa ed espropriata della propria esistenza poetica, si suicida impiccandosi all’ingresso dell’isba che aveva preso in affitto da due pensionati a Elabuga, un villaggio sulla riva del fiume Kama.

Marina Cvetaeva, L’oceano leggeva con me, L’Orma Editore

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