“Livia Pertini si innamorò la prima volta lo stesso giorno in cui Pupetta, la sua bufala preferita, vinse il primo premio. In paese, durante l’annuale Festa delle Albicocche, si svolgeva non solo una gara per il frutto migliore, cui concorrevano centinaia di minuscoli frutteti sulle pendici del Vesuvio, ma anche un concorso per la ragazza più graziosa della zona. La prima era sempre presieduta dal padre di Livia, Nino, perché si riteneva che il proprietario dell’osteria del paese avesse il palato più fino; giudice del secondo era don Bernardo, il prete, perché si pensava che, essendo celibe, potesse garantire una certa obiettività. Nel concorso di bellezza di solito regnava un’atmosfera più rilassata, in parte perché non era rovinato da accuse di brogli, tentativi di corruzione o furti di albicocche, come l’altra gara, e in parte perché le ragazze del paese si somigliavano un po’ tutte – capelli scuri, curve voluttuose – ed era quindi abbastanza semplice decidere in quale candidata quelle caratteristiche si combinassero nel modo più gradevole. Le albicocche erano tutta un’altra faccenda. A ogni eruzione, le pendici del Vesuvio si coprivano di uno strato profondo di ottimo fertilizzante naturale, chiamato potassa, e di conseguenza vi si coltivavano frutta e verdure di ogni tipo, che non crescevano in nessun’altra zona d’Italia: un vantaggio gastronomico che compensava ampiamente l’occasionale pericolo di vivere in quella zona. Per quanto riguardava le albicocche, le varietà andavano dalla soda Cafona alla succosa Palummella, dalla Boccuccia Liscia, leggermente amarognola, alla Pellacchiella più simile alla pesca, fino alla Spinosa dalla buccia ruvida. Ciascuna aveva i suoi strenui difensori, e il pensiero che la vittoria venisse attribuita alla specie sbagliata provocava discussioni interminabili”.
Quale posto migliore di Napoli e dintorni per immaginare profumi e colori sontuosi e inebrianti? E sono proprio i colori e i profumi i protagonisti di questo gradevole romanzo ambientato agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, quelli che non hanno risparmiato a milioni di persone povertà, dolore, durissime prove di carattere e di spirito. Livia la conosciamo nella trattoria del padre a Boscotrecase, piccolo paese campano. Insieme a lei conosciamo anche le sue doti di cuoca funambolica: nonostante la scarsità di materie e la piaga del mercato nero la fantasia è l’ingrediente vincente, il ‘piatto’ che non conosce miseria. Intorno a lei un mondo di voci e rumori, un capitolo di storia che non conosce solo date e nomi altisonanti ma soprattutto giorni di quotidianità turbata ma affamata di vita. Cappella racconta gli usi e i costumi di un’epoca costellata di eventi drammatici, descrive una Napoli ridotta a brandelli, le notti infinite nei rifugi antiaerei, le storie d’amore complesse e interrotte da un colpo di arma da fuoco, da un errore di valutazione, da un passo troppo veloce o troppo lento. Insieme a Livia incontriamo l’amore e la lusinga, incontriamo la percezione di qualcosa che sfugge alle ragioni del cuore, incontriamo la seconda opportunità che non è mai una scelta minore ma parte della storia di una vita.
La chiave scelta dall’autore è bellissima e ci consegna una pagina della nostra Italia disperata: eravamo povere e ridotte alla fame, mercenarie del nostro corpo in cambio di una scatoletta di carne o di una barretta di cioccolata, e abbiamo cercato una salvezza cercando di ‘migrare’ restando a casa stringendo matrimoni con gli inglesi o con gli americani. La lettura è bella e scorrevole e ci ricorda qualcosa di importante: siamo state sporche e quasi senza più identità anche noi.
Anthony Capella, L’ufficiale dei matrimoni, Neri Pozza
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