di Tiziana Pasetti
Trama – Dorrit fa la scrittrice, ha un mutuo, una casa cadente, un cane che ama. Ha amato un uomo, Nils, più giovane e già con una donna e un figlio. Non è riuscita a convincerlo a lasciare tutti e a stare con lei, a farla diventare madre. “Non posso ma ti giuro, ti ho quasi amato” le ha detto lui il giorno in cui la loro storia segreta è finita. Dorrit ha 50 anni e un giorno pensa: adesso mi ammazzo. Le manca il coraggio e così affida il cane a dei vicini, prepara una valigia e sale sul SUV rosso che passa a prenderla, un sabato mattina. Dorrit non è madre, quindi non è utile e per la società svedese a 50 anni diventi una dispensabile. Sarà sottoposta a esperimenti farmaceutici e poi donerà uno dopo gli altri i suoi organi, fino alla donazione finale. Per gli uomini la campana suona a sessant’anni: stessa storia, se non sei padre dopo una certa età puoi diventare utile a chi è utile davvero salvando vite. Nell’Unità si sta un gran bene, scopre Dorrit. E si innamora di Johannes. E resta incinta, anche. Questo cambierà le regole del sistema? Potranno, i due, coronare il loro sogno d’amore e di famiglia? Si può smettere di essere dispensabili e tornare ad essere utili?
Un assaggio – Una delle mie amiche che avevo fuori nella società era rimasta incinta a quarantasette anni e le avevano consigliato di abortire. Si chiamava Melinda e, quando me lo raccontò, mi spiegò anche che suggerivano di abortire «per ogni evenienza» a tutte le donne che rimanevano incinte dopo i quaranta, a prescindere dal fatto che avessero già avuto figli o meno. Riflettendoci non era poi così strano, dato che il rischio di malformazioni o disturbi nel bambino cresceva con l’età della madre, così come il pericolo di parti prematuri e altre complicazioni che avrebbero fatto lievitare i costi. Inoltre, se l’uomo che forniva il seme era già avanti con gli anni, si aggiungeva il pericolo che il bambino venisse colpito da schizofrenia in età adulta. In percentuale i rischi in più dovuti al singolo genitore erano esigui: l’età di Johannes, ad esempio, comportava un rischio paragonabile allo 0,5 per cento in più che nostro figlio sarebbe diventato. Ma le raccomandazioni dei medici di abortire non avevano a che fare con l’interesse del singolo individuo. I figli che nascono prematuramente o con qualche forma di disabilità intellettiva o psichica o che sviluppano la schizofrenia in età adulta costano alla società enormi quantità di denaro e se fosse possibile ridurre al minimo il numero totale di lesioni o complicazioni si tratterebbe di un risparmio enorme. Melinda aveva abortito. Aveva già due figli. Lei era già utile.
Leggerlo perché – L’Unità è scritto in modo pazzesco, una prosa secca, scarna, precisa. In un mondo in cui la performance è una richiesta quasi di base che a fare la differenza per poter restare in vita sia invece il concetto di riproduzione (anche indiretta, l’adozione prima dei cinquanta consente di acquisire lo status di elemento utile) è un motivo di grande riflessione e questo romanzo distopico lo fa in modo eccellente. L’autrice è bravissima a non cedere a una retorica facile e a non cercare un lieto fine romanzesco, narrativamente idoneo ma inadeguato all’impianto concettuale fortissimo. L’armonia che la protagonista trova all’interno dell’Unità, il gruppo amicale che ‘fuori’ non era mai riuscita a costruire, l’amore, il confronto delicato con il personale addetto agli esperimenti e agli espianti, la generosità della nazione nel trattare al meglio i suoi cittadini dispensabili, il finale: pugni nello stomaco che restano a lungo. Non fatevi sviare, L’Unità non è una copia pirata o una ‘cover’ di Non lasciarmi di Ishiguro.
Ninni Holmqvist, L’Unità, Fazi Editore
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