“Volevo che fossimo amici? No. Volevo una spiegazione? Nemmeno. Delle scuse? Superate, ormai. Eppure, non appena ci siamo incrociati, mi è uscita di bocca l’ultima cosa che avrei voluto dire. Perché? Non era quello che volevo da te, e neanche passare per la lamentosa di turno che blocca l’ex amante, implorando di ricevere da lui un postmortem per sapere perché non la ama, dove aveva sbagliato, cosa avrebbe dovuto capire. In questi casi esiste una spiegazione, però? Esiste un perché? E in effetti sì, ho scoperto chi eri. Sorpresa? Sconvolta perché mi avevi mentito? Ferita, forse, ma sconvolta proprio no. Non sarebbe stato meglio evitare di andare a letto con il primo venuto in accademia? Forse. ciò che mi aveva colto totalmente alla sprovvista era che tu mi cercassi, giorno dopo giorno, notte dopo notte, poi la tua scomparsa, il tuo ritorno, di nuovo la tua scomparsa e di nuovo il tuo ritorno. Avrei potuto riempire registri interi prendendo nota delle volte in cui sono stata sulle spine. Non era rimasto molto da aggiungere, soprattutto dopo che avevi ammesso di essere inaffidabile e poco disposto a cambiare”.
Soffrite di insonnia? Comprate questa furbata editoriale e, visto che dopo due pagine massimo tre scatta il treno di sbadigli, vi assicurerete un mese di notti dal sonno pieno. Io mi sono fatta una forte violenza e per leggere 111 pagine (stampate a caratteri cubitali con interlinea doppio) compresa la Postfazione ci ho messo tre sere. Non soffrite di insonnia oppure avete già altri metodi per riempire le ore di veglia e luna? Allora state lontani da questa offesa all’intelligenza di un lettore, questa operazione editoriale di rara sciattezza, di limpida bruttezza.
Aciman mi aveva incantata, con il suo Chiamami col tuo nome. Poi mi aveva delusa con Cercami, lo avevo evitato con un altro raccontino pubblicato qualche mese fa che aveva la parola estate nel titolo, ho voluto dargli un’altra possibilità. E ho sbagliato. Non si deve mai dare una seconda possibilità a chi già due volte ha imboccato la strada sbagliata, quella che dalla scrittura porta al mercimonio del grande magazzino delle parole sintetiche e dozzinali.
Scritto male, pensato di fretta, personaggi vuoti, contesto e sfondo schizzati appena. Mariana è una giovane donna che arriva in Italia e studia in un’accademia, vive in uno studentato. Qui conosce Itamar. Si innamora di lui, del suo ampio cappotto. Poi lui la molla e lei si chiede se lui l’ha amata o meno. E lei, lei l’ha amato? Boh. Un giorno dice di sì e un giorno dice di no. Mariana è una giovanotta, la storia è stata breve, si sono lasciati da nemmeno un mese e le frasi, i paragrafi, buttate sul computer di fretta (che vergogna, Aciman, che vergogna!) sono i chiari riflessi di una serie di stati d’animo – muffi, ingialliti – provati negli anni dall’autore. Aciman, senza raccontare nulla, senza sforzarsi di creare una storia, di faticare scalando la sua immaginazione, ha semplicemente risposto alla classica mail che adesso le case editrici mandano in modalità automatica: “Ciao André, ci scrivi qualcosa?”.
André Aciman, Mariana, Guanda
Ultimi commenti