“Per il loro matrimonio, Elsa e Alberto hanno scelto il 14 aprile 1941, il lunedì dell’Angelo. Più tardi Moravia, cercando di minimizzare l’importanza di quella decisione, sostiene di essersi sposato perché era stanco di andare e venire tra casa sua e quella della Morante nelle fredde serate d’inverno. E aggiunge con un cinismo che vuole nascondere i suoi veri sentimenti: «Il matrimonio è una scelta di vita, un contratto, una disciplina, che muta l’innamoramento e l’amore in un affetto abitudinario». In realtà da mesi, ormai, Elsa e Alberto sono sempre più vicini. La mancanza di denaro, le minacce dei fascisti e la paura del futuro li hanno stretti in un’alleanza che in quel momento non conosce cedimenti e ha annullato qualsiasi dubbio. Non è più soltanto Elsa a voler vivere fino in fondo la loro storia d’amore, ma anche Alberto non sopporta più di rimanerle lontano. Eppure. Proprio le difficoltà che li hanno legati, quel giorno sembrano pesare sulla cerimonia che non ha niente di festoso: «Ricordo il mio matrimonio come un qualcosa di non precisamente felice – racconta Moravia -, stiracchiato tra la guerra, la mancanza di soldi e non ultima la grande e giusta importanza che Elsa attribuiva alla cerimonia». È stata lei a volere che il matrimonio si svolgesse nell’imponente Chiesa del Gesù, a un passo dall’appartamento di Corso Umberto e dalla birreria in cui si sono conosciuti. Ma ha scelto una cappella laterale, dedicata alla Madonna della Strada, perché il contrasto tra l’opulenza della cattedrale, tutta oro, marmi, cupole e affreschi, e la semplicità di quell’angolo raccolto, così piccolo da poter ospitare solo gli sposi e i quattro testimoni, accresce il senso d’intimità di quel momento”.
Ripercorrere la storia d’amore fra Elsa Morante e Alberto Moravia è come fare un viaggio nel mondo letterario del Novecento e nella storia stessa del nostro paese. I due, 29 anni lui e 25 lei, si conoscono in un locale romano di Piazza Santi Apostoli nel 1936. Lei si innamora subito, lui qualcosa che somiglia. Hanno alle spalle percorsi di vita con un peso specifico rilevante: lui piegato dalla tubercolosi ossea che lo costringerà a passare in solitudine l’adolescenza, lei figlia di due padri, uno naturale e uno su carta, vittima di atmosfere casalinghe che lasceranno per sempre ombre. La generosità di Elsa, la sua fame d’amore, il cipiglio di Alberto, l’ardore per lei. Due caratteri complessi (ma potrebbero essere altrimenti due anime in fuga dalla vita verbale, ancorate alla parola scritta?) e complicatissimi, due esistenze legate fino alla morte nonostante la decisione, ad un tratto, di separare la strada, di accompagnarsi ad altri passi. Dacia Maraini e Carmen Llera per Alberto, prima ancora Bill Morrow per Elsa. Ma strabilianti sono le parole che entrambi dedicano al loro allontanarsi che non li dividerà mai. Dopo anni di legame simbiotico, la leggerezza degli anni vissuti a Capri, il dolore condiviso della guerra, le soddisfazioni di due carriere che sempre più incidono impronte indelebili nella storia della letteratura italiana e non solo, gli sguardi si intrecciano ad altri sguardi eppure qualcosa resta sempre. Si recuperano le abitudini, riprendono le lunghe telefonate, gli scambi intensi di pensiero. Quando Elsa si ammalò di encefalopatia involutiva di tipo sclerotico Alberto disse: «Sapevo che sarebbe invecchiata e avrebbe perso la sua bellezza ma è terribile che sia stata colpita in quello che aveva di più grande, nella sua mente».
Elsa morì il 25 novembre del 1985. Alberto era a Parigi, tornò in tempo per il funerale. Restò lungamente accanto alla bara, sostiene lo scrittore e poeta Renzo Paris, «dell’unico grande amore della sua vita, l’unico suo grande odio».
Anna Folli, MoranteMoravia, Neri Pozza
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