Odio, l’altra faccia del dolore di Silvio Ciappi

Leggi con noi
Ascolta la storia

Un saggio che unisce il ritmo della narrazione di cronaca alla spiegazione della banalità del male

Trama – Il male, la violenza, proliferano nel territorio dell’odio, frutto della paranoia, del risentimento, del senso di ingiustizia e, forse soprattutto e inaspettatamente, del dolore. Ciappi, criminologo e psicoterapeuta, espone in chiave narrativa casi clinici e forensi con i quali ha avuto modo di misurarsi in prima persona. Il male non ha una faccia specifica, non è immediatamente riconoscibile, non è facile da prevenire o prevedere e questo non solo come situazione esterna ma anche come degenerazione interiore. Nella seconda parte del saggio, Sputare fuori. L’odio come espulsione, ci sono due capitoli che da soli, già dal titolo, possono indicarci la strada dell’autocritica necessaria a comprendere meglio le radici umane, umanissime, dell’odio: uno è Odia il prossimo tuo come te stesso e l’altro è Difendersi dalla vergogna. Attraverso l’analisi di casi che hanno segnato la storia del crimine del nostro paese (ovviamente ma in modo inedito c’è Donato Bilancia) e cenni approfonditi ma chiari alla teoria e ai quadri di personalità, Ciappi ci aiuta a nominare le cose, a guardare in faccia il nostro dolore, soprattutto quello compresso, silenziato, soffocato: il marcio, il crimine pronto a esplicitarsi (nei modi quotidiani, nelle parole violente, nei gesti definitivi), ha la sua radice più forte proprio lì.

Un assaggio – È un azzardo interrogarsi sulla violenza che ci circonda, perché di quella violenza siamo fatti tutti. L’omicidio è cambiato e segue i tempi che corrono. A volte ho l’impressione che l’Italia di oggi sia diventata una società smarrita, intrico e tela rabberciata di esistenze che si sfiorano, di interessi di persone dove il ritmo e le proprie aspettative si misurano con le aspirazioni e i sogni di una società globale insicura e competitiva. Dove è protagonista la paura: di non essere all’altezza, di misurarsi con le proprie fragilità. L’omicidio è una chiave di lettura di questa società. Si uccide molto di più in famiglia e, ancor più, si uccide per motivi che appaiono futili: dissapori in famiglia sfociati tragicamente, liti di vicinato, amori tracimati in disgrazia. L’omicidio non è più l’atto di prepotenza del superuomo, del bandito, del fuorilegge, che si pone contro la società e i suoi costumi bigotti eliminando chiunque si interponga sulla strada della propria affermazione. Oggi, il delitto di sangue assume sempre più il ruolo di mezzo patetico per affermare le proprie debolezze, un alibi per non affrontare le proprie sconfitte, le piccole inettitudini, le vorticose incapacità di relazionarsi con gli altri. Si uccide per un bacio non dato, per un cane che abbaia, per vigliaccheria. Piccole patologie quotidiane della normalità, reazioni smodate e incontrollate al disagio, in assenza di mediatori, ruolo tradizionalmente ricoperto dalla scuola, dalla famiglia e dal lavoro.

Leggerlo perché – Il motivo per il quale è assolutamente necessario leggere un testo come questo lo lascio dire – mi faccio da parte perché non saprei dirlo meglio – alla chiusa di un tema di mia figlia Allegra, quarta liceo. “Io credo che nulla sia più importante nella costruzione della nostra identità dell’entrare in crisi. Entri in crisi e ti si apre davanti un abisso: di solitudine, di spavento. Puoi decidere di arrabbiarti e distruggere tutto, dalle amicizie allo studio a te stesso. Oppure puoi decidere, anche se hai dentro un grande dolore e tanta paura di essere rifiutato e giudicato, di provare a darti una possibilità e darla a chi hai accanto. Possiamo decidere di essere sgarbati, prepotenti, arroganti. Ma sono radici effimere. Possiamo decidere di vivere generosamente, di tentare la gentilezza. Sono radici che fioriscono”.

Silvio Ciappi, Odio, l’altra faccia del dolore, Giunti

Confidenze