“Nel pomeriggio tutto era pronto: passarono a salutare ser Brunetto, il caro maestro di Dante, nella sua casa di campagna. Brunetto gli diede un po’ di compiti da fare, ma gli raccomandò soprattutto di correre e giocare. E il viaggio, che non era poi lungo, cominciò.
Dante era seduto sul sacco dei vestiti e raccontava il suo sogno del vascello ad Alighiero, che cavalcava accanto al carro. Caterina lo ascoltava a bocca aperta perché, quando inventava storie, Dante sapeva incantare tutti. E anche Lapo tendeva l’orecchio, spronando i cavalli che tiravano il carro.
Così, distratti com’erano dal suo racconto e dalle sue rime – perché Dante giocava a fare il poeta, di quando in quando – a tutti il viaggio sembrò breve. E parve loro di essere andati non sul carro, sulla strada tutta buche e sassi, ma per mare, tra le onde”.
Dantedì, lo hanno chiamato così. Settecento anni dalla morte del sommo da festeggiare (certo, detta così fa un po’ strano) con numerosi eventi (tutti o quasi online), ripubblicazioni delle opere, rimesse in onda di letture a voce alta fatte da attori e attrici, giornate in dad che diventano DanteaDomicilio. Se l’ho amato, durante gli anni del liceo? Mentirei se dicessi di sì. L’ho odiato immensamente. Avevo una professoressa che a lui aveva dedicato e immolato la sua esistenza, conosceva ogni cantica e tutti i canti a memoria. Li abbiamo dovuti leggere tutti seguendo i quattro sensi indicati dal Nostro nelle pagine del Convivio (sì, pure quello abbiamo dovuto leggere, nonostante fosse un’opera incompiuta e scritta avendo la testa immersa nella DC): letterale, allegorico, morale e anagogico. Polisemia come per i testi sacri. Sviluppai il quinto e non fui la sola: il senso allergico. Poi sono cresciuta e quei mattoni da obblighi scolastici sono diventati altro, ma questa è un’altra storia, una storia felice e le storie felici sono noiose da raccontare.
Giunti, in collaborazione con la Disney, ha fatto una cosa molto dolce. Ha preso il più strepitoso dei personaggi partoriti da una fantasia e l’ha spedito non all’inferno ma in una grotta: Paperino da bambino, ribattezzato Durante o, come lo chiama lo zio Alighiero, Dante. La storia (non è un fumetto ma un racconto) l’ha scritta Augusto Macchetto, le tavole (MERAVIGLIOSE) che accompagnano la narrazione sono di Giada Peressinotto e il colore (chi ama i fumetti sa quanto sia importante questo elemento) di Andrea Cagol. La storia del piccolo Dante, di una grotta buia, di un grilletto e di Baby Beatrice è incantevole, delicata, una carezza. Non posso raccontarvi come si conclude (finale da urlo, per chi ama scrivere) ma posso regalarvi un frame. Dante è nella grotta, al buio. Sente dei rumori, degli spostamenti d’aria. Tastando intorno a lui riesce ad afferrare un sassolino e lo picchia a terra per fare rumore: “Nel picchiarla ne venne una scintilla, un piccolo lampo che illuminò la sua mano e poco più. Era un nulla, in quel buio, ma un nulla di luce”.
Completano l’opera due fumetti che nel passato hanno reso omaggio al Poeta. Uno del 1949, di Guido Martina e Angelo Bioletto, con protagonista Topolino e l’altro, con Paperino, disegnato e sceneggiato nel 1987 da Giulio Cherchini e verseggiatura (preparatevi a ridere tantissimo) di Massimo Marconi.
AA.VV, PaperDante, Giunti
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