“Tutto di lui mi è stato prezioso, i suoi occhi, la sua bocca, il suo sesso, i suoi ricordi di bambino, il suo modo brusco di prendere gli oggetti, la sua voce. Ho voluto imparare la sua lingua. Ho conservato senza lavarlo un bicchiere in cui aveva bevuto. Ho desiderato che l’aereo col quale ritornavo da Copenaghen si schiantasse se non avessi più dovuto rivederlo. Ho appoggiato questa foto, l’anno scorso a Padova, sulla superficie della tomba di Sant’Antonio – insieme alle persone che accostavano un fazzoletto, un foglio di carta piegato contenente la loro supplica – perché ritornasse. Che lui l’abbia ‘meritato’ o meno non ha evidentemente alcun senso. E che tutto ciò cominci a essermi estraneo, come se si trattasse di un’altra donna, non cambia nulla: grazie a lui mi sono avvicinata al limite che mi separa dall’altro al punto da immaginare talora di superarlo. Ho misurato il tempo in modo diverso, con tutto il mio corpo. Ho scoperto di cosa si può essere capaci, cioè di tutto. Desideri sublimi o mortali, assenza di dignità, credenze e comportamenti che trovavo insensati negli altri finché io stessa non ho fatto a essi ricorso. A sua insaputa, egli mi ha unito ancor più al mondo. (…) Quando ero bambina lusso significava per me pellicce, abiti lunghi e ville sulla riva del mare. Più tardi, ho creduto che fosse condurre una vita da intellettuale. Mi sembra ora che sia anche poter vivere una passione per un uomo o per una donna”.
Non c’è modo migliore per cominciare un nuovo anno. Non so cosa prevedano per voi i cieli, le stelle, i segni zodiacali, i sogni: io vi auguro una passione, vi auguro qualcosa che possa strapparvi via dalla gola una parola che somigli all’amore, vi auguro lo stomaco contratto e capovolto, vi auguro un’invasione di farfalle impazzite, vi auguro un paio di occhi fissi nei vostri.
Vi auguro un A., un A. come è capitato ad Annie. A di Amore, A di Altro, A di Amplesso, A di Amante, A di Amico, A di un nome che non può essere detto ad alta voce ma che può urlarti nelle vene, nelle viscere, farti fiorire il cuore come una giungla, una foresta, un giardino incantato dalle parti del paradiso.
Annie ama e si lascia divorare dal desiderio. Ce lo racconta, ce lo racconta come sa raccontare lei, in modo limato, scartavetrato, graffiato, restituito nudo, crudo, gravido di respiro. Annie ama e dimentica tutto il resto, dimentica i figli, dimentica il lavoro, dimentica il senso del gusto, del limite, dimentica lo strato di pelle che la separa e divide dal resto del mondo e diventa più ampia, più complessa, diventa lei più lui, diventa piena di se stessa e colma di lui.
A cosa serve un amore? Dove ci porta? Un amore serve a farci saltare e ci porta in un corpo nuovo, ci mette in bocca baci, parole, versi, suoni, fame, sete, preghiere. Un amore ci serve per imparare a morire, ci serve per non condannare i ricordi che bisogna preservare.
Annie scrive. Racconta, poi, quando i corpi sono ormai lontani, divisi, la storia di una passione semplice, uno spostamento di un essere verso un altro essere, l’incontrovertibile moto dei corpi che in una traiettoria, in un punto di un universo qualunque, si attraggono e si sfiorano e si schiantano. Quello è un istante, eterno, di gloria.
Annie Ernaux, Passione semplice, Bur
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