“Ci sono molti paesi del mondo di cui sappiamo meno che degli Stati Uniti d’America ma non ci sono posti con un divario più ampio degli Stati Uniti tra quello che crediamo di sapere e quello che sappiamo effettivamente. L’influenza statunitense nei nostri consumi è così gigantesca e longeva – e tanto sono grandi la nostra cultura da bar e il nostro bisogno di mostrare quanto la sappiamo lunga – che pensiamo di conoscere bene l’America quando in realtà, nella gran parte dei casi, la nostra idea è un impasto di luoghi comuni e poche informazioni concrete. Quando descriviamo l’assurdo sistema sanitario statunitense, lo facciamo spesso scegliendo due argomentazioni imprecise e fallaci, tra le molte valide che avremmo invece a disposizione: quella per cui se non hai un’assicurazione «ti lasciano morire per strada» (falso) e quella per cui «la sanità si paga» (perché, in Italia chi la paga?). Crediamo che gli statunitensi siano tutti armati fino ai denti – ci sono effettivamente più armi che persone – ma non sappiamo che la metà delle armi in circolazione in America è posseduta dal 3 per cento della popolazione. Crediamo che gli Stati Uniti siano un paese egoista e individualista, ma sono il primo al mondo per soldi donati in beneficenza dai suoi cittadini in proporzione al PIL (il secondo paese al mondo, la Nuova Zelanda, dona appena la metà degli Stati uniti; l’Italia un quinto). Coltiviamo il luogo comune secondo cui gli Stati Uniti userebbero la mano pesante contro l’evasione fiscale e i reati dei cosiddetti colletti bianchi, ma in carcere ci vanno ancora soprattutto ragazzi neri. Ragioniamo e discettiamo sulla cultura americana e sulla loro idea di Stato e libertà, e amiamo paragonare il tutto a quello che succede qui da noi, senza sapere o tener conto che gli Stati Uniti sono un paese mezzo vuoto: ci sono più persone nella sola New York di quante ce ne siano in quaranta dei cinquanta Stati americani. Crediamo che gli Stati Uniti siano ancora un paese molto puritano, ma il 40 per cento dei bambini americani oggi viene messo al mondo da donne non sposate, e l’uso ricreativo della marijuana diventa legale in più Stati ogni anno che passa”.
Sopra al grande transatlantico riportato in copertina campeggia una teoria affollata di grattacieli. Sopra ancora, la scritta: “Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro”. Cosa c’è da sapere, dell’America, che già non sappiamo, potrebbero chiedersi in molti. E a chi un po’ nell’esteso puzzle di stati che poco coincidono tra loro ha viaggiato (non limitandosi alle mete e ai percorsi e pacchetti turistici) strapperebbe un sorriso. Un sorriso un po’ amaro e un po’ no. Di Stati Uniti al di qua dell’Atlantico sappiamo poco. Forse conosciamo un po’ di musica, forse siamo divoratori di serie tv, forse sfogliamo le pagine patinate di Vogue, forse abbiamo sognato di frequentare una facoltà della Ivy League o addirittura abbiamo capito tutto di come funzionano gli stati federati perché un giorno abbiamo gridato evviva Obama e oggi alziamo pugni al cielo e ululiamo Black Lives Matter o abbasso Trump. Non è esattamente così che funziona. E per capire qualcosa (che capire non è mai male, anzi) questo bel saggio di Costa può essere un’ottima occasione. A partire dal primo capitolo, La piaga, sull’uso sconsiderato degli antidolorifici che ha trasformato gli Stati Uniti in un paese gravemente (tossico)dipendente, Costa ci porta nel ventre di una grande bandiera che se da lontano può coprire e nascondere come un filtro magico infinite peculiarità locali e dissonanze culturali che faticano a creare nuovi e più ampi significati, da vicino si trova a lottare costantemente con un presente sempre più frantumato.
Francesco Costa, Questa è l’America, Mondadori
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