“È che da tempo non so dove andare, provo ad urlare ma non ho più voce. Tu dici: «Dai si può ricominciare» ma io non ho da offrirti più parole. Sì, è vero, tu mi incanti anche se non mi parli ma il sole è spento e non lo vedo più da queste parti. Sì, è vero avevo detto che sarà per sempre. È triste ma quando mi abbracci non sento più niente. Quando mi siedo sopra il tetto del mondo mi accorgo di essere il solito che si rifugia nel fondo di questo stupido e fragile mio disonesto bicchiere che bevo per mandare giù la parte mia che non si vede.
È triste ma quando mi abbracci non sento più niente”.
Cari amici lettori e lettrici, questa settimana mi prendo una pausa e invece di un libro vi invito a rifugiarvi in un mare di parole in musica. I testi di Niccolò Morriconi (in arte Ultimo) non sono poesie, sono trattati di sociologia delle periferie urbane e di psicologia contemporanea, un po’ sociale e un po’ vecchio stile, quella chiusa e racchiusa nelle scatole ermetiche del sé. I primi due album, Pianeti e Peter Pan, già erano romanzi di formazione completi, schietti, raffinatissimi. Colpa delle favole aveva dentro un tentativo di ribellione. Solo ritorna alle origini, ritorna nella stanza (“la mia cameretta”, come la chiama il giovanissimo cantautore romano), ritorna faccia a faccia con un pianoforte, ritorna a smascherare paure, insicurezze, vuoti.
Ha un’anima benedetta il ragazzo, il giovane uomo. Quando terminò, era l’8 marzo del 2019, Fateme canta’ al Palalottomatica di Roma, Antonello Venditti, il concerto era il suo e Ultimo ospite, si avvicinò al pianoforte e disse: “Aspettavo da anni uno come te”. E noi che con Antonello siamo cresciuti, con l’Antonello di Sora Rosa, di Dolce signora che bruci, di È caduto l’inverno, quando abbiamo ascoltato le prime canzoni di Niccolò abbiamo – lo dico?, lo dico – pianto. Perché la canzone è spesso solo un’emozione, un’estate, un tormentone, un virtuosismo vocale ma in rari casi è qualcosa di più. Penso a Francesco De Gregori, penso a Franco Battiato, penso a Paolo Conte, a Francesco Guccini, a Fabrizio De Andrè: letteratura, poesia, note, tutto.
Quindi. Leggete quello che volete, un romanzo, un giallo, un bugiardino di un farmaco, una lettera d’amore (ah, che meraviglia!), le istruzioni per costruire un ponte sullo stretto di Messina, i programmi (Perdonatemi la battuta) di quanti si proporranno all’eventuale guida dello stivaletto per rimetterlo a (ahahahhaahhahahahaha! Scusatemi, mi sento un po’ burlona) nuovo e in piedi; ecco leggete tutte queste cose ma poi lasciatevi andare e cantate. Cantate forte.
Ultimo, Solo, Ultimo Records
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