“Il libro di Marianna è un percorso di memoria e una testimonianza vera e diretta della sua vita di povera ed emarginata piena di violenze fisiche e morali, ma anche di mamma felice e di donna forte, coraggiosa e avventurosa. Marianna è la figura di una protagonista ‘sventurata’ che assume una dimensione mitica tra miseria, sregolatezze e abusi al limite dell’autodistruzione. Fortunatamente non tutti i rom vivono in queste condizioni, non tutte le donne rom vivono queste esperienze e queste vicende drammatiche. Non tutti i rom ‘combinano’ i matrimoni delle proprie figlie. Ci sono rom e sinti più che integrati nella società maggioritaria che vivono onestamente, civilmente e soprattutto realizzati da un punto di vista sociale, lavorativo e affettivo. Molti raggiungono livelli di eccellenza e diventano anche delle star internazionali come Yul Brinner, Zlatan Ibrahimović, Charlie Chaplin, Rita Hayworth, Bob Hoskins. (…) I gruppi che formano con le loro numerose e diverse comunità questa nazione senza Stato e senza territorio è fatto anche di arte, di lingua, di cultura, di letteratura, di sport, di cinema, di teatro, di gastronomia e di tante autentiche tradizioni che sono un patrimonio antropologico straordinario, un patrimonio dell’umanità tutta”. (Postfazione di Santino Spinelli ‘Alexian’)
“Con un raggio di sole mi viene voglia di raccontare la mia solitudine: scriverò la mia storia, quella della mia origine e delle mie terre”. (Marianna A.)
Quella di Marianna A. è l’autobiografia, curata da Luigi Nacci, di una donna rom. Non un’autobiografia decisa e pianificata a tavolino come quelle dei personaggi famosi, dei cantanti, degli attori, dei politici, ma un diario personale, intimo, scritto per conservare la memoria e tramandarla, scritto per non perdersi di vista lungo la strada contorta e avventurosa della vita.
Marianna è una donna rom e tante sono le terre che si porta scritte nel dna: il Pakistan e l’India dei suoi avi, la Bosnia dei suoi nonni, dove nasce anche lei, e poi l’Italia, dove arriva più e più volte fin dalla più tenera età, il Montenegro, la Croazia, la Slovenia, la Francia, la Corsica, la Germania, ancora l’Italia. L’Italia di Trieste, della Sardegna, di Milano, delle Marche, dove nasce Andrea, il suo primo bambino, da una relazione con un uomo italiano. L’Italia, paese amatissimo e che accoglie i campi, luoghi di passaggio che finiscono sulle pagine dei giornali per i rari fenomeni criminosi, per sottolineare i pregiudizi (“tutti gli zingari sono ladri e violentatori e rubano i bambini degli altri per rivenderli”), per alzare muri di incomunicabilità. Marianna però ci racconta un’altra storia, ci racconta un’Italia fatta di piccoli paesi, quartieri, gente, accogliente. Ci racconta della passione delle donne di Trieste per il vasellame in rame, arte d’eccellenza del popolo rom. Dell’orgoglio, per un rom, di poter portare la propria transnazionalità lungo tutto lo stivale. Insieme alla fierezza di appartenere a un popolo viandante che ha come bandiera il cielo, come riferimento la luce delle stelle, Marianna sviluppa il senso del diritto alla libertà. Libertà che fin da piccola vede limitata dalla figura poco equilibrata del pur amatissimo padre (che arriverà a venderla in cambio di tre monete d’oro ad un uomo che non ama) e poi da Kevin, marito orco, padre dei suoi innumerevoli figli, che le farà conoscere l’aspetto più buio dell’amore: la violenza fisica.
Quella di Marianna è una testimonianza/denuncia. È un manifesto che dice alle donne, tutte: “ribellatevi a chi vi sovrasta con la forza, con il ricatto”. È una canzone d’amore per i suoi figli. È un omaggio al suo essere donna rom, al senso dell’andare, del tornare sempre.
Marianna A., Spirito libero e sangue caldo, ediciclo editore
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