Storia intima dell’umanità di Theodore Zeldin

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Un saggio sulla storia dell'umanità, su come ogni civiltà abbia visto il proprio declino e la morte, per quanto magnifiche sia stata nella fase di gloria

di Tiziana Pasetti

Trama – Dei ricordi intimi dell’umanità intera, di questo Zeldin si è fatto narratore in questo saggio del 1994 che, a trent’anni di distanza, resta splendido e attualissimo. Pagine scorrevolissime ma piene di dotta conoscenza delle affinità che di tempo in tempo e di luogo in luogo hanno consentito all’umanità di riaffermare se stessa. Procedendo dal particolare (ogni capitolo comincia con una storia personale) al generale, al comunitario, al sociale, Zeldin indica un percorso storiografico che sfronda le gesta per arrivare (tornare?) a quanto muove l’uomo e poi il gruppo e poi le nazioni: la paura della solitudine (ma anche la ricerca della stessa), la paura in assoluto dell’assoluto, la ricerca dell’amore e del suo senso più profondo. Le guerre, le conquiste, le scoperte, il progresso: non è in questi momenti, sprazzi, che giace la storia. La storia è nel prima e nel dopo, è nella lucidità che precede il salto, nella ‘preparazione’. La storia dell’umanità è da ricercare negli spazi che appaiono silenti e assenti di vita, è il lavoro dell’archeologo che oltre le pietre e le ossa e le organizzazioni recupera qualcosa che non può essere mai antico e mai abbastanza futuro: è il presente di ogni uomo, la sua storia, la sua speranza, infiniti destini.

Un assaggio – Ci si può sentire isolati nella propria città, ma ognuno ha degli antenati in tutto il mondo. Tuttavia, la storia insegnata nelle scuole non pone l’accento su questi legami, né è concepita in modo da rivelare quali memorie contino di più per il presente. Se si dovesse fare un film comprimendo in un paio di ore tutto quello che, secondo i libri di testo, da sempre si suppone sia successo, dedicando un flash di un minuto a ogni mezzo secolo, il mondo avrebbe l’aspetto della luna, grigio e desolato, notevole solo per la presenza di qualche cratere. I crateri sono le civiltà – le maggiori sinora sono trentaquattro – ognuna delle quali è esplosa e poi è decaduta, illuminando brevemente alcune parti del globo, ma mai tutto; alcune durano per qualche centinaio d’anni, altre per un paio di millenni. Nel frattempo, ad ogni lato del cratere, dune di polvere grigia si estendono a perdita d’occhio: sono le persone non citate nei libri di storia, per le quali le civiltà non hanno mai fatto abbastanza, e le cui vite sono state sofferenze per lo più insignificanti. Alcuni vulcani sono ancora in eruzione, ma non c’è alcuna apprensione per ciò che accadrà dopo: prima o poi ricadranno nel silenzio – tutte le civiltà, finora, hanno visto il proprio declino e la morte, per quanto magnifiche siano state nella fase di gloria, per quanto difficile risulti credere che possano svanire ed essere rimpiazzate dal deserto e dalla giungla.

Leggerlo perché – Zeldin ha scritto uno dei saggi più belli, intensi, geniali che io abbia mai letto. Una lettura scorrevolissima che nutre di aneddoti e spiegazioni sul mondo dell’umanità senza la classica, e sviante, posizione di parte. L’Occidente è solo uno dei capitoli, un tassello del grande mosaico delle civiltà. “Per avere una visione nuova del futuro”, scrive Theodore, “è sempre stato necessario avere una visione nuova del passato”. Il nostro cervello è intriso di pensieri e idee che vengono da secoli lontani, grattacieli altissimi che sono somme e fusioni di esperienze, vittorie, sconfitte. Ricercare le tracce di noi stessi che sono sparse in ogni latitudine può contribuire a costruire un’immagine – e un ruolo attivo – dell’uomo e della sua funzione nel sistema Terra meno arrogante, meno ridicola, meno cattiva.

Theodore Zeldin, Storia intima dell’umanità, Donzelli

Traduzione dall’inglese di Bianca Lazzaro

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