di Tiziana Pasetti
Trama – Ci pensate mai al fatto che anche la scrittura è un medium e che anche lei, quando è stata ideata e poi introdotta ha provocato panico e resistenza e poi adattamento? Prima di lei ci si serviva della memoria e proprio per questo erano diffuse mnemotecniche che poi abbiamo abbandonato. La cultura è una trasmissione sociale di informazioni, attraverso quali mezzi questa avvenga (scrittura, radio, televisione, stampa, Internet) non cambia in modo sostanziale il modo in cui questa viene utilizzata e strumentalizzata da chi produce i contenuti certo, ma anche da chi li consuma. Tecnopanico è il titolo molto intrigante di questo saggio, ‘Media digitali tra ragionevoli cautele e paure ingiustificate’: si parte appunto da molto lontano, dagli inizi della civiltà (una costruzione, non dimentichiamolo mai) e si arriva a oggi, passando attraverso la lettura competente delle ricerche e degli studi sulla comunicazione (fondamentale per non cedere alla lettura distorta dei dati). Quanto siamo influenzabili? Siamo creduloni o testardi? Disinformazione e fake news sono la nuova piaga universale oppure è una sovrastima senza fondamenta? Che basi di realtà/verità hanno le teorie del complotto? Che ruolo hanno, se ne hanno, le echo chambers? E davvero abbiamo capito come funzionano, se funzionano, gli algoritmi? Lo smartphone ci spia? I social media sono davvero i responsabili del peggioramento della salute mentale degli adolescenti? Tutto questo e molto altro in 160 pagine di lettura utile, godibile, di sociologia bella.
Un assaggio – Quando ci troviamo di fronte a idee o comportamenti che ci appaiono diametralmente opposti ai nostri è facile, e confortante, pensare che siano stati causati da informazioni scorrette e che basterebbe correggere queste informazioni per cambiarli. Pur lavorando su questi temi, mi ricordo, nei primi mesi della pandemia di Covid-19, di aver pensato che, una volta trovato un vaccino funzionante, gli individui contrari alle vaccinazioni sarebbero sostanzialmente scomparsi. In questo caso, mi dicevo, i «fatti» – una malattia di cui si potevano vedere le devastanti conseguenze – sarebbero stati evidenti e nessuno, o quasi, avrebbe messo in pericolo sé stesso e gli altri basandosi su credenze scorrette. Indubbiamente un’altra voce da aggiungere al mio elenco di predizioni sbagliate. L’idea che Internet e i social media siano zeppi di disinformazione, che la disinformazione abbia un vantaggio sulle informazioni vere e che abbia un chiaro potere causale nella formazione delle nostre credenze è, come minimo, opinabile. Al contrario, la disinformazione sembra essere una minima parte dell’informazione totale che possiamo trovare online, non ha particolari vantaggi sull’informazione vera ed è molto difficile che possa cambiare credenze e comportamenti. Ricondurre l’esistenza di idee contrarie ai vaccini, anche se circoscritte a una porzione molto ristretta della popolazione, all’esposizione alla disinformazione è semplicistico, come lo è, purtroppo, ricondurne l’accettazione alla sola esposizione a informazioni accurate, come sfortunatamente dimostrato dalla mia predizione errata. Escludendo i numerosi casi di disinformazione a uso, diciamo così, ricreativo, che sono numericamente importanti ma meno preoccupanti per la società, sembra più produttivo pensare al consumo e alla condivisione di disinformazione come a un modo per giustificare e segnalare agli altri credenze la cui formazione è più complessa. La circolazione della disinformazione è, insomma, più un sintomo che una causa dei problemi sociali che ci preoccupano.
Leggerlo perché – Ho una laurea in sociologia e adoro questa scienza, quindi forse sono un po’ di parte nel consigliare questo bel saggio scritto da Alberto Acerbi, ricercatore di sociologia e ricerca sociale dell’Università di Trento. Ve lo consiglio perché la comunicazione non è improvvisazione e credere di poterla capire e gestire con sufficienza è un errore gigantesco che può far male e tanto: ho scelto un abstract che fa riferimento al Covid19 non a caso. Capire il proprio tempo e le cose, uscendo dalla propria microzona di comfort cognitivo, è un atto di altissima politica, di coraggio sociale, di crescita storica, di critica e dimensionamento personale.
Alberto Acerbi, Tecnopanico, il Mulino
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