Trama – C’è una guerra, quella partigiana, in scena nelle Langhe e c’è un giovane, Milton, un ex ufficiale, studente universitario che ama la musica, ama parlare l’inglese, ama leggere. Ama, ha amato, una ragazza bellissima, Fulvia. A lei scriveva lettere, per lei traduceva canzoni, con lei un giorno ha ballato mentre il giradischi suonava Over the rainbow. Era stato Giorgio a presentargliela, dopo una partita di pallacanestro. Sedici anni, sfollata da Torino per sfuggire al terrore dei bombardamenti, “la trovarono come una perla mimetizzata nelle alghe”. Ma la guerra è come un altro amore e chiama, trascina. Milton combatte ma più di ogni fucile, più di ogni morte possibile, teme l’orrore più grande: Fulvia pare si sia innamorata di Giorgio. Milton deve sapere. La guerra non si vive nelle retrovie, la guerra è nel campo e l’amore non è un sogno ma la ricerca di una verità. Giorgio è finito in mano ai fascisti: Milton deve riuscire a rintracciare il suo rivale di cuore.
Un assaggio – Milton era un brutto: alto, scarno, curvo di spalle. Aveva la pelle spessa e pallidissima, ma capace di infoscarsi al minimo cambiamento di luce o di umore. I capelli erano castani. All’attivo aveva solamente gli occhi, tristi e ironici, duri e ansiosi. «Hai occhi stupendi, la bocca bella, una bellissima mano, ma complessivamente sei brutto». Girò impercettibilmente la testa verso lui e disse: «Ma non sei poi così brutto. Come fanno a dire che sei brutto? Lo dicono senza…senza riflettere». Ma più tardi disse, piano ma che lui sentisse sicuramente: «Hieme et aestate, prope et procul, usque dum vivam…O grande e caro Iddio, fammi vedere per un attimo solo, nel bianco di quella nuvola, il profilo dell’uomo a cui lo dirò». Scattò tutta la testa verso di lui e disse: «Come comincerai la tua prossima lettera? Fulvia dannazione?»
Leggerlo perché – Fenoglio della fortuna che avrebbe avuto questo suo romanzo speciale, questo lungo racconto, questa corsa a perdifiato, questo tuffo nei ricordi da afferrare e tentare di rianimare, riportare in vita, non ha saputo mai. Il libro uscì postumo, nel 1963, qualche mese dopo la sua morte, morte che rese ancora più pesanti, nel senso di indimenticabili e misteriose, queste pagine di amore e di guerra, sinonimi e sintomi l’uno dell’altra. Come si racconta una guerra? E come si racconta un amore, un rimpianto, un dolore, un abisso che ti squarcia quello che ti resta di un cuore? Quali sono le parole che si possono dire, qual è il limite che il rispetto, la devozione, impongono alla letteratura? Le parole che si possono, e si devono dire, sono quelle che la storia ci mette davanti, sono quelle che Fenoglio ha restituito ai giorni spogliati da una mitologia che non racconta ma deforma. Fenoglio racconta la guerra con un linguaggio giovane, dannato, furibondo, vivissimo come vivissima era l’idea di libertà di chi combatteva senza smettere mai di dar retta alle tante altre infinite cose della vita. Si spara, ma nella testa c’è una ragazza che un giorno è salita su un albero per raccogliere ciliegie. Si muore, c’è una Paese da difendere, ma il pensiero nella testa, quello che non ti abbandona mai è: ‘lei mi ama?’. La grandezza di Fenoglio è giovane, furibonda, dannatamente vivissima.
Beppe Fenoglio, Una questione privata, Einaudi
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