Oltre che il titolo di un articolo su Confidenze in edicola adesso, 2025: tornerà l’eleganza? è una domanda che molti di noi si pongono. Soprattutto se non siamo più giovanissimi, perché ancora non riusciamo ad accettare la cafoneria in cui ormai è precipitato il mondo.
La volgarità, purtroppo, è dilagata in ogni campo: abbigliamento, comportamenti, televisione e musica.
Parto dalla moda, dopo aver riguardato le foto della mia famiglia quando io ero piccola. Con la mamma vestita all’insegna della linearità, fedele al motto di Coco Chanel “la semplicità è la nota fondamentale della vera eleganza”.
Non era da meno il babbut, spesso in cravatta. Oppure, in camicia, golf e pantaloni classicissimi, senza il minimo fronzolo che ventilasse ambizioni di creatività.
Mentre noi bambini venivamo infilati in capi molto carini, ma acquistati con un occhio al portafoglio. Cioè, in negozi di qualità e non certo dagli stilisti. Per non buttare via soldi inutilmente, visto che in fase di crescita li avremmo indossati una sola stagione. E poi, diciamolo, perché quegli abiti “anonimi” erano giusti per la nostra tenera età.
Oggi, invece, di tenero non c’è granché. Tante madri per distinguersi si agghindano da influencer, assemblando improponibili pezzi da salasso che non c’entrano nulla l’uno con l’altro. I padri osano look da paura, forse stimolati dalle assurde proposte che vedono in passerella. E molti piccoletti sembrano star di Hollywood chiamate come testimonial di griffe esclusive. Ovviamente ben evidenziate dai loghi, per il timore che possano sfuggire ai disattenti.
Più gravi dell’abbigliamento, però, di questi tempi sono i comportamenti. Che raramente contemplano le elementari regole dell’educazione, preferendo atteggiamenti prepotenti e urlati. Insomma, ben poco eleganti.
Esempi lampanti arrivano dalla tivù. Dove dibattiti sulla carta interessanti diventano inguardabili per l’aggressività degli ospiti. Felici di sentire la loro voce. Poco inclini ad ascoltare quella degli altri. Quindi, pronti a interrompere chi parla senza il minimo ritegno.
Così, ogni argomento diventa un groviglio di suoni indecifrabili che farebbe perdere la pazienza anche a un certosino. Non solo: alla fine della trasmissione (sempre ammesso di non cambiare canale prima) il povero telespettatore si ritrova isterico come se sotto casa sua fosse in azione un martello pneumatico.
Non vanno meglio le cose nella musica, con i suoi ritmi ormai tutti uguali. Accompagnati da testi osceni (nel vero senso della parola). Interpretati da ragazze magari mica male, ma dal look stile escort. E ragazzi che sembrano usciti da una festa di Carnevale.
Attenzione: il mio non è un discorso bacchettone. Semplicemente rimpiango le mises di Mina o Patty Pravo. Che non lasciavano molto all’immaginazione, ma evocavano una sensualità pura. E facevano trasudare alle regine delle hit lo stesso fascino di Gianni Morandi o Massimo Ranieri sul palco di Sanremo in giacca.
Tutto questo declino mi porta a pronunciare la frase «Dove andremo a finire?». Sicuramente da vecchia carampana. Ma condivisa anche dai (per fortuna parecchi) giovani sopravvissuti allo tsunami della cafoneria.
Mi riferisco a quelli che ancora manifestano rispetto per il prossimo. Continuano a essere mossi da valori dogmatici. Intendono l’eleganza uno stile di vita e non un ostacolo ai più biechi istinti.
Insomma, sto parlando di coloro ai quali non viene in mente di sopraffare, maltrattare. O fare molto di peggio, come raccontano troppo spesso le più tristi cronache.
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