Da molti anni Monica Vitti viveva nel silenzio di una malattia che le ha fatto dimenticare chi è stata. Assente dalle scene dal 2001, fermiamo l’immagine quando Monica aveva 80 anni e Panorama, per un servizio di moda, volle ispirarsi ai suoi personaggi, facendoli interpretare da Sveva Alviti. La modella vi appariva nuda e armata. Il commento del settimanale era: “Per replicare Monica Vitti chiamarsi Sveva non è necessario, però aiuta: perché Sveva è nome splendido e rarissimo. Ecco: Monica Vitti è splendida e rarissima, anzi di più, unica. E per il cinema italiano è una luce che non si spegne. Il bello è che, a volerla simboleggiare, l’immagine di una ragazza sexy con la pistola è la più giusta”.
Per le nostre lettrici più giovani va ricordato che tutte le storie del cinema (e tutte le celebrazioni dei suoi compleanni) hanno definito Monica Vitti come l’attrice che visse due volte, o come un’interprete dal doppio talento se non addirittura come un’anima divisa in due. Questo perché, tra il 1959 e il 1964, è stata “musa nevrotica ed esistenzialista del cinema di Michelangelo Antonioni” per poi voltarsi in “eroina comico-brillante”, anzi “regina delle attrici comiche italiane”. Questa è una distinzione utile per i dibattiti, ma assolutamente inservibile per decifrare Monica Vitti, quasi serve di più il suo segno zodiacale, lo Scorpione che (sostengono gli astrologi) rappresenta il cambiamento, talvolta sconvolgente, e l’inesausta rinascita e sotto il suo simbolo raggruppa le donne più sensuali, energiche, spigliate, passionali, quelle che emanano femminilità e fascino, quelle che tendono a voler dominare (soprattutto nel rapporto a due), quelle che, se l’amore non c’è, più son pronte, senza ripensamenti, a cambiare strada e vanno dove le porta il cuore, quelle che, magari impegnate in una dissertazione filosofica, sollecitano in chi le guarda lo stesso pensiero che Woody Allen rivolgeva a Diane Keaton: «Chissà com’è, nuda». Monica Vitti era una meraviglia, dalla cima dei capelli alla punta dei piedi (che lei però ha sempre trovato troppo lunghi), passando per gli occhi da gatto, per la nuca (è il dettaglio che stregò Antonioni e lo convinse a farne la sua musa) e le gambe, indescrivibili, se non con parole abusate, e perciò da adorare in silenzio. Cangiante e carnale, Monica Vitti, che di sé ha detto: «Sono un’attrice poi anche una donna» (istrionica come una Gemelli, il segno di Marilyn Monroe), sta perfettamente in questa descrizione: “si mascherava da bruttina per restare intatta nello splendore spaventevole di una donna bellissima e spiritosa, intelligente, irriverente e sincera”. Così ha insegnato alle donne “a nascondersi dietro le cose semplici e accettabili per far crescere in segreto le inaudite”. Prima fra tutte, la capacità di prendere e di prendersi in giro: si può fare tutto con Monica Vitti, però bisogna essere uomini, non maschi narcisisti. Quelli, li ridicolizza, e non occorre che maneggi, sia pure con grazia, armi da fuoco. Anche se, volendo a tutti i costi dividere la sua parabola tra L’Avventura (Antonioni) e Polvere di stelle (Sordi), bisogna riconoscere che lo squarcio non avvenne, nel 1968 a causa della Ragazza con la pistola, la commedia di Mario Monicelli che tutti citano, ma due anni prima con Modesty Blaise La bellissima che uccide, film di Joseph Losey che tutti ignorano. Monica dava corpo a un’eroina dei fumetti statuaria, con carica erotica esplosiva, combattente nata e padrona del suo destino. Più o meno come è sempre stata lei, sin da bambina. Lo ha ricordato in una confessione di tanti anni fa, che rievocava i suoi primi passi:
«Ho fatto la prima cosa a 14 anni e mezzo perché servivano soldi per un orfanotrofio di bambine sordomute. Una mia amica venne a chiedermi se volevo fare una parte in una recita, io non avevo mai visto un teatro, la mia famiglia era molto severa e pensava che il teatro già a vederlo fosse corruzione. Così faccio per caso La nemica di Dario Niccodemi. Avevo già questa voce, che mi ha molto aiutato. Io mi ero trovata benissimo e ho capito che recitare era quello che volevo fare per il resto della vita. I miei genitori dissero di no: dovresti studiare, trovare un marito, avere dei bambini. E io: non voglio fare niente di tutto questo. È stata una lotta dura, quando studiavo all’Accademia d’arte drammatica c’era chi diceva che ero troppo strana, come un cavallo che non sa dove andare». Lei, in verità, s’immaginava protagonista di grandi drammi, ma già nel 1951 c’è chi la considera “un’attrice comica nata”. Lei, allora, per non perdere occasioni, quando partecipa a un cast e le chiedono: «Sa fare il drammatico o il comico?» risponde: non ha importanza, qualunque cosa. Tutto, tutto, qualunque cosa. Il primo che disse che andava bene tutto, dalla voce al modo di recitare fu Michelangelo Antonioni. Andò bene finché durò: otto anni di convivenza strana (stessa casa ma due appartamenti uniti da una scala a chiocciola), che la storia ha poi dimostrato essere soltanto un prologo: del mito di Monica Vitti. Che ha lasciato un segno profondo nella storia del cinema, e, con la sua sensualità, emozioni indimenticabili nella vita di chi la conosce. Perché, come ha scritto lei stessa (nel libro Il letto è una rosa) «la sensualità è una piuma tenuta sulle labbra con un fiato leggero. Se ti viene uno starnuto, vola via dalla finestra e buona notte!».
Testo di Santi Urso, pubblicato su Confidenze 18/2015
Foto: Getty Images
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