“PRESENTATRICE: Questa settimana il naufrago nostro ospite è uno scrittore. Un ragazzo molto sveglio originario del quartiere di Squirrel Hill di East Pittsburgh in Pennsylvania, dopo la laurea all’Allegheny College è passato direttamente alle pagine di Playboy, del New Yorker e della Paris Review, dove i suoi racconti sulla classe lavoratrice americana del dopoguerra gli sono valsi la reputazione di talento spietatamente schietto e anticonformista. All’età di ventinove anni ha pubblicato il suo primo romanzo, Nine Mile Run, grazie al quale ha vinto il primo dei suoi tre National Book Award; da allora ha pubblicato altri venti libri e ha ricevuto decine di premi, compresi il Pen/Faulkner Award, la medaglia d’oro dell’accademia americana delle arti e delle lettere, due Premi Pulitzer, la National Medal of Arts, e, soltanto lo scorso dicembre – ‘per la sua esuberante genialità e per la sua sopraffina abilità di ventriloquo, che con ironia e compassione rivelano la straordinaria eterogeneità della vita americana moderna’ – l’onore più ambito da tutti gli scrittori, vale a dire il Premio Nobel. Largamente ammirato negli Stati uniti, come anche qui in Gran Bretagna e all’estero, è stato tradotto in oltre trenta lingue, eppure, al di fuori dei romanzi, è un tipo molto schivo, che preferisce la sacralità della sua casa d’epoca all’estremità di Long Island a quella che lui definisce ‘la frenesia e le frivolezze funeste’ della vita letteraria di Manhattan. ‘Bisogna essere audaci nella scrittura’, sostiene, ‘e prudenti nella vita di tutti i giorni’. È qui con noi oggi Ezra Blazer”.
Comincio con un grazie. E un ‘bentornata’. Bentornata, Feltrinelli!
Nel giro di due settimane ho letto due libri strepitosi pubblicati dalla storica casa editrice dopo anni di sostanziale (ovviamente è un mio giudizio basato sui miei gusti letterari) e drammatico silenzio: Le assaggiatrici di Rosella Postorino e Asimmetria di Lisa Halliday.
Due opere diversissime sotto tutti i punti di vista; contenuto e forma che sembrano appartenere a pianeti diversi, entrambi perfetti. Del primo ho scritto qui tre sabati fa, all’indomani della meritatissima vittoria del Premio Campiello. Di questo provo a scrivere qualcosa oggi anche se, e già questa cosa è strepitosa, Asimmetria è un libro che sfugge alle definizioni, alle regole che continuano a persistere nel montaggio classico dei romanzi.
La Halliday, americana in pianta stabile da otto anni nel capoluogo lombardo, ha scritto tre libri in uno, tre capitoli che sono tre stanze (Follia, Pazzia e Desert Island Discs con Ezra Blazer) solo all’apparenza incomunicabili. Una storia d’amore asimmetrica tra una giovane donna che lavora in una casa editrice e un uomo con il triplo dei suoi anni che ha al suo attivo un paio di Premi Pulitzer; una storia asimmetrica di un viaggio di un economista iracheno-americano verso l’Iraq che subisce un blocco nello scalo londinese costringendolo, per esubero di tempo, a ripensare alla sua vita e una storia asimmetrica che ha il ritmo delle modulazioni di frequenza di una trasmissione radiofonica. I ricordi sono narrazioni alterate dalla fantasia, la vita è quel pizzico di sale e di cicuta che chiamiamo ‘realtà’.
Le storie non scorrono fluidamente come un olio, le storie si infrangono in continuazione con le ore e con i bisogni che creano attriti, graffi, stonature. Con una lingua accattivante, tagliata su misura sulla fisicità di ogni protagonista, Asimmetria cattura e trascina, riequilibra. Ottima palestra per il cervello, stimolante più di un ginseng in tazza grande, divertentissimo e dotto e commovente e…niente, è un must have.
Lisa Halliday, Asimmetria, Feltrinelli
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