Se le guardo mi sembrano le stesse “ragazze” con cui sono cresciuta. Invece, gli anni sono passati e molte delle amiche di sempre sono ormai diventate nonne! Cioè, donne che non parlano più dei loro bambini, ma dei bambini dei loro “bambini”. Il che suscita in me un mistone di incredulità e invidia.
Non mi sembra possibile, infatti, associare il termine “nonna” a tante belle signore piene di vitalità (non aggiungo l’aggettivo “giovanili” per evitare che mi tolgano il saluto), visto che fino a qualche tempo fa lo collegavo esclusivamente a vecchine tremebonde intente a sferruzzare golfini fuori moda.
Ma il sentimento che più prevale quando incontro le amiche a spasso con la carrozzina è di invidia a mille (neanche fossi una sorellastra di Cenerentola), perché per me quel traguardo è ancora lontano.
L’ha già raggiunto, invece, Fiorella L., la neo-nonna che ha scritto a Confidenze chiedendo a Don Luigi Poretti e Maria Rita Parsi un messaggio di speranza per il bimbo appena arrivato nella sua famiglia (potete leggere lettera e risposta nell’articolo Benvenuto, nipote mio sul numero in edicola adesso).
Giustamente Fiorella pensa che questo mondo non sia esattamente la culla ideale in cui rifugiare un cucciolo. Ma guerre, crisi economiche e tensioni a mio avviso non bastano a placare l’immensa gioia nel vedere un bel pancione. E un fiocco (rosa o azzurro) appeso fuori dalla porta di casa credo sia il più bel messaggio di speranza per ognuno di noi.
D’altronde, non si dice “finché c’è vita c’è speranza”? E una nuova vita non rappresenta il cancellino più efficace per le brutture che ci circondano?
Davanti al minuscolo frugoletto, infatti, si creano nuclei umani compatti come nessun partito politico né esercito mai. E chi pensa che stia esagerando, provi a farci caso.
Se il bebè sorride, genitori, fratellini, nonni e zii partono con un coeso arrembaggio di: «Guardate com’è contento», «Mi ha riconosciuto», «Vuole venirmi in braccio».
Mentre quando piange, la milizia stipula una tacita alleanza per individuare la fonte del dispiacere: «Avrà fame», «Dovrà fare il ruttino», «Bisognerà cambiargli il pannolino».
E pazienza se fuori i ministri si scannano, i gilet gialli si massacrano, gli americani costruiscono muri. Grazie al bimbetto tutto viene dimenticato. E sempre grazie a lui, la famiglia si scopre fortemente unita, trasudante di amore allo stato puro e pervasa di una ritrovata fiducia nel futuro.
Al punto che qualcuno può spingersi oltre, arrivando addirittura a convincersi che sarà proprio quel tenero fagottino, una volta cresciuto, a rendere il mondo migliore. A capeggiare la lista di chi vede nel bebè il futuro salvatore della patria di solito sono le nonne. Me lo confermano le mie amiche nipote-munite, che portano a spasso il piccolo con la certezza di avere tra le braccia un futuro eroe. E la mia invidia si impenna come un purosangue.
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