Qualche tempo fa sul blog di Confidenze pubblicammo un sondaggio dedicato alla proposta di legge sull’eutanasia e biotestamento (un tema su cui il Parlamento dovrà esprimersi con un ampiamento della legge vigente entro il 24 settembre 2019).
I risultati furono largamente a favore di legalizzare l’eutanasia, ma francamente non fu quello a colpirmi di più. A stupirmi ancora oggi sono i continui commenti che periodicamente vengono lasciati da lettori e lettrici a distanza di mesi, alcuni sono sfoghi rabbiosi e disperati, come quello di Michela che scrive “Avete ma provato a stare distesi in un letto e non riuscire nemmeno a mandar via una zanzara, mentre che ti succhia il sangue. Avete provato a stare distesi su un divano con dolori fortissimi, con una forte tossiemia provocata dalla chemioterapia, con l’impossibilità di andare persino in bagno, perchè oltre al tumore c’è qualche altra patologia che lo impedisce? Dove comincia la dipendenza, finisce la dignità. E se finisce la dignità , tanto meglio morire. Perchè no?”.
Altri, come quello di Adriano, chiamano in causa la vicenda di Eluana Englaro (di cui si è celebrato ai primi di febbraio il decennale dalla morte) parlando addirittura di uccisione con sentenza legale. Tutti comunque sono il segno che l’argomento non smette di far discutere e che il tema del testamento biologico non è più un cavillo per esperti ma un’urgenza sentita da quasi il 70% degli italiani.
L’ultimo rapporto Eurispes, presentato a fine gennaio, dice che 3 italiani su 4 sono favorevoli all’eutanasia anche se il 77, 5% ritiene che vi si dovrebbe ricorrere solo in caso di coma irreversibile o di grave sofferenza fisica (il 64,6%). Sul suicidio assistito invece permane un atteggiamento di opposizione: è contrario il 60,6% mentre sul tema dell’interruzione delle cure che tengono in vita un paziente in coma irreversibile, il 35,4% degli italiani ritiene che sia un atto di clemenza che risparmia inutili sofferenze e il 32,7% invece la considera una scelta accettabile.
Su Confidenze di questa settimana trovate la struggente storia Un lungo addio raccolta da Alessia Rocco, che è incentrata proprio sul tema della libera scelta del fine vita e su come questa decisione spesso ricada sulle persone vicine al malato, investendole di una responsabilità che a volte cozza contro i propri principi morali. Proprio per questo sarebbe utile che ciascuno di noi potesse stilare un suo testamento biologico.
Ma oggi 7 cittadini su 10 ancora non sanno che cosa sia, nonostante la legge (21 dicembre 2017, n. 219) sia entrata in vigore il 31 gennaio 2018. La normativa dice che «Ogni persona maggiorenne, capace di intendere e volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi, può, attraverso “Disposizioni anticipate di trattamento” (Dat), esprimere le proprie convinzioni e preferenze in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto a scelte diagnostiche o terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali».
L’Associazione Luca Coscioni che da tempo si batte per i diritti del fine vita ha fatto sapere che sono già quasi 30.000 le domande scaricate dal loro sito (le cosiddette Dichiarazioni anticipate di trattamento, Dat). Ma il procedimento è complicato, bisogna redigere un atto pubblico o una scrittura privata che dev’essere poi autenticata da un notaio o da un medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale e depositata al Comune di residenza. E poi manca ancora una Banca nazionale delle DAT, una sorta di mega archivio delle richieste che in realtà doveva essere già stato predisposto entro il 30 giugno 2018. L’impressione è che ancora una volta la politica prevalga sull’interesse dei cittadini.
Ultimi commenti