Storia vera di Salvatore Chiarella raccolta da Marco Angilletti
In questi ultimi mesi, riesco a mettere in ordine i pensieri soltanto a notte fonda, quando lei si addormenta. Me ne sto seduto sul letto e la ammiro. Orgoglioso come un faro che vuole indicarle la rotta, smarrito e fragile come un cristallo lanciato sul selciato.Respira con la fermezza di chi si impone di premere il tasto off. Non stiamo attraversando un bel periodo, ma siamo qui insieme e io mi reputo un marito fortunato. L’autobiografia del nostro amore racconta che siamo eclissi e stupore, siamo latitudine e longitudine.
Inscindibili, capaci di disintegrare macigni e seminare entusiasmo.
La accarezzo, è raffinata perfino nelle cose più naturali. Se i tempi moderni tendono a sfatare la preziosità delle favole, io da vecchio romantico continuo a ribadire che lei è una principessa arrivata da lontano. La mia principessa!
E mi sento il custode della sua storia.
Silvia ha donato il suo primo vagito al borgo di Pazarjik, un lembo di terra bulgara con meno di mille anime in cui la povertà soffiava sui tetti delle case, tra i sacrifici della pastorizia e dell’agricoltura. Malgrado fosse molto piccola, la famiglia portava sia lei sia il fratello a pascolare pecore e capre: uscivano di casa con il gelo dell’alba e facevano ritorno a tarda sera.
Ha sperimentato sulla sua pelle cosa significhi crescere nella modestia di certe case, quando per cena bisognava accontentarsi di una patata e un pugno di verdure selvatiche, in una stanza illuminata da sole candele, perché l’elettricità era un lusso da non potersi permettere. È proprio dall’infanzia in Bulgaria che mia moglie ha ereditato l’umiltà dello spirito e la generosità. Il bambino che sperimenta il sacrificio diviene l’adulto capace di dosare meglio l’equilibrio sui piatti di una bilancia.
La nonna e il papà giravano per il paese con un carretto trainato da un asino, per trasportare paglia e vendere i frutti dell’orto. Quando un terribile incidente li ha fatti entrare in coma per lungo tempo, la madre di Silvia si è ritrovata impreparata, e in miseria, a crescere due figli senza l’aiuto di nessuno. Con l’anima a brandelli, ha deciso di affidarli a un orfanotrofio di Sofia, la capitale, per garantire loro sicurezze migliori. I baci scaldano, eppure non sfamano. Silvia ha dei ricordi nitidi di quegli istanti: le lacrime, le ultime carezze, gli abbracci dati al fratello per sentirsi meno soli. Si sono dovuti abituare inevitabilmente all’isolamento di un istituto, certe sorti non possono essere cambiate, almeno finché una notizia non fa capolino nei corridoi.
«Una famiglia italiana che non riesce ad avere figli vorrebbe adottare Silvia».
L’incertezza e l’avvilimento sono stati disarmanti, alla fine però la mamma ha compreso che da genitori si è disposti alle rinunce più tormentate. Con pochi bagagli, la bambina viene messa su un aereo, destinazione Italia. Quel volo ha permesso alle nostre storie di incrociarsi, perché ad adottarla sono state due anime buone del mio paese, mamma Maria e papà Leonardo. La nostra unione è nata dalla costola di un gesto di solidarietà.
Il giorno in cui Silvia bacia la terra italiana, l’aeroporto è un tripudio di festa. Ad accoglierla c’è l’intera comunità, tutti schierati in espressioni di contentezza e lacrime, proprio come si fa con l’arrivo di una vera principessa. C’è un video che immortala quel momento, lo riguardo spesso con immensa tenerezza, specie in questi giorni difficili. È così piccola, sguardo spaventato. Si gira a destra e a sinistra, osserva la folla quasi senza capirne il senso. Un bouquet in mano e una nevicata di tristezza sulle ciglia. Mi viene sempre voglia di tornare indietro nel tempo, per recarmi anche io all’aeroporto, prenderle la mano e sussurrarle che prima o poi avrei cancellato la sua malinconia.
Ci avrebbe pensato il destino a concederci altre occasioni di incontro.
Il paese non è poi tanto grande e, nonostante i nove anni di differenza, le nostre ombre hanno passeggiato sotto gli stessi lampioni. Ogni volta che la vedevo era un miraggio: bella, sfuggente e ammaliante in un’unica essenza.
Silvia si abitua presto a una vita nuova, circondata da calore umano e attenzioni. Si dedica allo studio e a coltivare i sogni, in particolare la passione per il disegno e la creazione di abiti. Per questo si è iscritta al liceo di moda. E il caso ha voluto che io, l’ultimo anno di liceo, lavorassi proprio lì come docente esterno.
L’arte ha sempre affascinato l’instancabilità delle mie mani, fino a farla diventare una professione, tra regia, design e musica. E dobbiamo ammettere che, per noi due, galeotta fu l’arte!
Per la chiusura dell’anno scolastico stavamo organizzando una sfilata in cui presentare gli abiti realizzati dagli studenti, Silvia aveva optato per la tesi in scenografia e un pomeriggio mi aveva raggiunto nello studio privato per confrontarci sui contenuti. Parlava e restavo inerme di fronte alla grazia con cui lo faceva. Avrei voluto domandarle tante cose, personali più che artistiche. Alla fine dell’incontro, sulla porta dello studio, il saluto formale ha preso la forma di un bacio inaspettato. Entrambi imbarazzati. Le possibili chiacchiere sulla classica storiella del docente e dell’allieva probabilmente pesavano sulle coscienze più del dovuto. Abbiamo atteso il diploma, prima di iniziare a frequentarci e contaminarci.
Eventi, concerti, viaggi e cinema hanno fatto da testimoni alla nostra alchimia. Più andavo avanti, più riuscivo a cogliere la profondità della sua anima. Non mi capacito di quanto riuscisse a leggermi dentro e soprattutto a tenermi legato, senza mai sotterrare la mia personalità. Forse è proprio questo il dono delle principesse: essere in grado di seminare amore, facendo in modo che chi lo riceva riesca a trasformarlo in amore per se stessi.
Quando dico che devo ringraziarla, non lo faccio perché mi ha cambiato. Sono sempre io, quel Salvatore un po’ folle, estroso, appassionato di tante cose e affaccendato in mille avventure. La vera straordinarietà è che l’amore vero ti arricchisce senza cambiarti, ti perfeziona, te ne accorgi già soltanto mentre respiri.
All’epoca, pensare a un futuro matrimoniale faceva a pugni con il mio senso di responsabilità: non scappavo dai legami, semplicemente volevo essere all’altezza di ogni necessità. Silvia è riuscita a farmi superare pure questo scoglio. Ha reso tutto più facile, più enunciabile e tangibile, per questo ho scelto di sposarla il 6 luglio del 2013. E come nelle favole più belle, nel 2019 è arrivato il nostro principino dai lunghi capelli oro, Edoardo Leo. Edoardo come mio padre, Leo come il papà di Silvia. La piccola peste dagli occhi grandi si è appropriata di tutti i respiri mozzafiato, in un vortice di emozioni rinnovato ogni giorno, dalla colazione alla buonanotte. È come vivere con un folletto pieno di domande, instancabile, un piccolo uomo che calza ancora 27 di scarpe e ama indossare di continuo costumi di personaggi o cartoni animati. La mattina vado a lavorare e lui sbuca sulla porta vestito da Thor, con il lungo mantello; la sera, quando rientro, te lo ritrovi nei panni di Capitan America, pronto a sfidarmi nascosto dietro lo scudo. Ha compiuto da poco quattro anni, i più ricchi della nostra storia.
Silvia, Salvo, Edo: tre nomi e un cuore solo. Siamo grati per ogni gioia ricevuta e, consapevoli di essere fortunati, abbiamo scelto di stare dalla parte di chi ha bisogno: raccogliamo regali per i piccoli pazienti in corsia, organizziamo eventi benefici, portiamo musica negli ospedali, perché chi ha il dono di vivere una vita meravigliosa deve sempre ricordarsi di coloro i quali hanno perso l’entusiasmo delle favole.
Con la stessa gratitudine, abbiamo iniziato a raccontare di noi sui social, la quotidianità di una famiglia qualunque: i risvegli, le giornate a mare, il primo giorno di asilo, i lavori nell’orto, gli eventi e i viaggi. Ci piace essere testimoni autentici dei legami, dell’amore per la nostra terra, del valore dell’appartenenza. È come se la favola si fosse ora trasformata in un film, con sceneggiature che si rinnovano quotidianamente.
Negli ultimi periodi, purtroppo, un colpo di scena ha sorpreso tutti noi. Lo scorso ottobre Silvia ha iniziato ad avere disturbi a un occhio, ci vedeva in maniera sfocata. Pensavamo a un banalissimo problema, un colpo di aria o qualcosa di simile. Invece, già dopo la prima visita oculistica, il dottore ci ha indirizzati verso altre strade.
Abbiamo consultato un medico diverso, per conferma, ma la risposta è stata identica.
«Conviene approfondire subito con una risonanza magnetica». La prima risonanza non era del tutto chiara, sebbene lasciasse intravedere qualcosa. La seconda ha fugato ogni dubbio.
«E ora come facciamo?» mi ha chiesto Silvia con gli stessi occhi malinconici della sua versione bambina nel video all’aeroporto.
«Cambiamo solo qualche ciak del nostro film, amore mio, e andremo avanti come sempre».
Ci siamo abbracciati come farebbero due madri che hanno appena lasciato i figli andare al fronte, in un’urgenza di reciproca rassicurazione. Scoprire di avere la sclerosi multipla a 32 anni non potrà e non dovrà cambiare l’entusiasmo del nostro avvenire!
Nei giorni successivi all’amara scoperta, ho visto la mia principessa indossare i gioielli più taglienti e ingombranti, perdere ogni certezza, sprofondare in un abisso di riflessioni in cui nemmeno i miei abbracci riuscivano a rasserenarla. Mi sono sentito impotente, insieme a lei. Impaurito, quanto lei. Quando navighi nella stagione del sole, ti sembra sempre remota la possibilità che una bufera metta a rischio il viaggio. Però succede. Non siamo i primi e, purtroppo, neppure gli ultimi. Mi aggrappo alla fede che ho nel petto e continuo fermamente a credere a quella voce: le sofferenze sono per coloro che possono sopportarle.
La cosa che più mi lacera dentro è assistere all’invadenza del dolore. Mi addosserei ogni spasimo, pur di toglierlo a lei. Ho braccia forti e amore in quantità per sopportare il peso di tante croci, purché bastasse il mio sacrificio a non farle gravare sulle spalle di coloro che amo. Di fronte a certi drammi, tuttavia, ci riscopriamo impotenti e nudi. Mani legate, parole insufficienti e nessun supereroe di Edo pronto a uscire dal mondo dei giochi con un’armatura invincibile o un superpotere.
«Hai dentro di te la quiete dei pascoli su una montagna e la forza testarda del nostro mare. Coraggio, amore! Per goderci l’alba, dobbiamo sopportare il freddo». Ho provato in tutti i modi a darle sostegno, anche fingendo di non averne bisogno io. Ogni moto di resilienza ha bisogno del giusto tempo per attivarsi e, come al solito, alla fine la mia principessa ha saputo stupirmi con la determinazione e il coraggio che la contraddistinguono, complice l’amore di nostro figlio. È lui la migliore vitamina!
La puntura lombare per l’esame del midollo osseo è stata più dolorosa del previsto; nelle ore successive, Silvia è stata particolarmente male. Piano piano, però, ci stiamo abituando a trovare il giusto posto sulla nostra mongolfiera anche per questa compagna di viaggio inaspettata e malgradita. Le punture, le flebo, il cortisone, la scrupolosa osservazione di ogni sintomo ora ci fanno meno paura. Il dolore arriva e va via, poi ritorna prepotente. Stiamo imparando ad accogliere anche quello.
Al giorno d’oggi ancora non si guarisce dalla sclerosi multipla, ma la ricerca prosegue con dedizione e speranza. Sapere di dovere accettare la malattia così com’è, senza certezze sulla sua evoluzione, è una notizia che ti cambia e influenza la visione del futuro: finisci per dare il giusto peso a ogni battito di emozione.
«Pensiamo a quanti progetti abbiamo ancora da realizzare!» le ripeto fino allo sfinimento.
Abbiamo deciso di dedicarci alle cose più belle, benzina per i nostri sorrisi. Vorrei tanto che riprendesse a creare abiti, come faceva prima, perché possa trasformare in scampoli d’autore l’autenticità che la vita le ha cucito intorno al cuore.
E appena starà meglio andremo in Bulgaria. Silvia non ha mai dimenticato le sue origini, né rinnegato una storia poco felice, e ora più che mai è smisurata la voglia di dare un volto ai luoghi dell’infanzia e conoscere finalmente i suoi familiari. Per me, aiutarla nella realizzazione di questo sogno è un modo per restituirle tutto il bene con cui ha incensato i miei giorni.
Abbiamo scelto di raccontare anche i momenti della malattia sui social, perché una famiglia è fatta di posti sul podio, ma pure di cadute in corsa e di intoppi. Condividere ha un doppio beneficio: da un lato può essere di aiuto a chi sta affrontando situazioni analoghe, dall’altro ci permette di ricevere ancora più affetto di quello che abbiamo.
Continuo a osservarla mentre dorme, griderei al mondo intero quanto la amo.
Mi chiedo quanti altri mariti, padri o figli, prima di addormentarsi, guardano i loro guerrieri e si emozionano, come succede a me.
Ogni sera il mio abbraccio e le mie preghiere vanno anche a loro, a quanti affrontano un periodo di equilibrio precario. Aggrappiamoci all’amore che tutto può e tutto cambia. E rispolveriamo i sogni, perché di fronte a una malattia abbiamo soltanto due strade: diventarne succubi o prendere il timone e puntare verso isole felici. Il capitano Silvia ci sta riuscendo alla grande.
Le rimbocco le coperte, le do un bacio sugli occhi, lì da dove tutto è partito.
«Buonanotte, principessa mia. Insieme ai sogni, ci penserò io a mostrarti il lieto fine delle cose».
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