“Gffhf hfjkahffh ajfuahfoqpj jfiauhfiuafiaf nhh fhha jfihaofhof jlfjahfoahf nhahfoahf pug njshkfh hvhsghiisu nvhsuhv vkjhkhv”
Avete letto bene, non c’è nessun errore mio o del sistema. Da oltre quattro anni, ogni settimana, questa rubrica di consigli di lettura apre con una citazione, quasi sempre anche molto lunga, tratta dal libro che ho scelto di raccomandarvi dopo averlo letto e apprezzato (la mia non è una pagina di critica letteraria, non ho il compito di recensire le novità: mi limito ad amare i libri e a condividere con voi questa passione). Per la prima, e spero ultima, volta, lettori carissimi, io voglio sconsigliarvi un libro. Con un dispiacere grandissimo.
Quando ormai un anno fa la stampa ha dato la notizia, all’inizio mi sono spaventata e ho detto: “Oh, no”. Poi l’amore incondizionato verso Elio e Oliver ha fatto nascere la speranza. La speranza verso la capacità di Aciman di saper tornare in quella perfezione di contenuto, ma soprattutto di forma narrativa. L’ho sperato talmente tanto che ho cominciato a crederci. A convincermi che l’impossibile si sarebbe potuto verificare. L’accadere di un miracolo: prendere una storia non nata con l’intenzione della serialità e riaprirla a distanza di anni senza inciampare nella costruzione e nel montaggio, senza ammazzare con crudeltà lenta il povero lettore.
Aciman è stato spietato. Non c’è una sola riga di Cercami che meriti di essere ricordata. Non c’è una sola scena, un dialogo, un ritratto, che riesca a scolpirsi nel cuore e nella mente.
Il libro è diviso in tre parti. Nella prima ritroviamo il padre di Elio, Samuel, che una mattina prende un treno per andare a Roma. Scopriamo che ha divorziato dalla moglie. Sale una ragazza con un cane, Miranda. Si innamorano e vivranno a lungo felici e contenti, mettendo al mondo pure un fratellino per Elio che chiameranno Oliver. Mi è venuta l’orticaria quando si spogliano, lei allunga una mano, lo tocca e dice qualcosa tipo: “ecco il faro”. E lui: “mi piace che lo chiami così”. Il faro. Povera Virginia Woolf, poveri noi.
Seconda parte. Elio è diventato un pianista. Un bel pomeriggio va ad un concerto e conosce un uomo che ha il doppio della sua età, Michel. Scoppia una passione, non vivranno a lungo (insieme) felici e contenti. Mi è venuta la gotta lungo tutto il capitolo: Michel è insopportabile con i suoi “adesso andremo al bistrot, prenderemo posto al nostro tavolino e tu mi dirai quanto mi desideri, mangeremo una fetta di carne che bagneremo con un vino prezioso e poi torneremo qui, io ti bacerò e tu…” (questi virgolettati non sono tratti fedelmente, il libro non so neanche dove l’ho lanciato). Insopportabile. Ripeto, mi riferisco alla forma narrativa. Che in un romanzo ha un peso del 90% sul totale.
Terza parte. Elio e Oliver. Tornano insieme? O no? Questo lo lascio scoprire a chi volesse farsi del male e leggere questo pessimo sequel che non aveva nessuna ragione di essere.
Una cosa però l’ho imparata per l’ennesima volta. Tornare indietro, riaprire un finale, è sempre un errore. In letteratura (Chiamami col tuo nome era perfetto) e non solo.
André Aciman, Cercami, Guanda
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