Ansia: sei sicura di riconoscerla? è l’articolo di Confidenze in edicola adesso che più ha catturato la mia attenzione. Perché al di là di quello che molti pensano, con questa “malattia psichiatrica” (come la definisce il pezzo) io ci convivo da quando ho memoria.
Chiedermi se la riconosco, quindi, equivale a prendermi in giro: della serie le apparenze ingannano, dietro la mia arietta solare spesso si celano forti stati di agitazione. Che individuo immediatamente appena li sento avvicinare.
Frequente all’ansia, però, ancora non mi sento precipitata nell’ambito della patologia. E se quando si palesa è in effetti una gran rottura, per fortuna negli anni ho imparato a farci i conti. E ad accettarla come una parte di me. Uno di quei “segni particolari” che una volta bisognava indicare sulla carta d’identità.
Detto ciò, ci sono mattine in cui mi alzo con un mix di pesantezza, irrequietezza e smania che arriva a togliermi il fiato. Ma gli stessi sentimenti possono presentarsi all’improvviso anche durante la giornata.
La causa scatenante nella maggior parte delle volte è il tempo. Nel senso che l’idea di non averne abbastanza per fare tutto è capace di generare un turbamento assolutamente eccessivo. Anche perché ingiustificato (ce la si fa sempre!).
Eppure, appena mi piomba addosso, altro che ansia: perdo la testa. Mi agito. Vedo tutto nero. Sento nel petto una specie di macigno. Divento nervosa e aggressiva.
Accade perché nella mia mente le lancette dell’orologio assumono le sembianze dei tentacoli di una piovra gigante che mi vuole trascinare in un gorgo dal quale non uscirò mai più.
A questo punto mi direte che sì, stiamo parlando di una vera e propria malattia psichiatrica. Invece, no.
Secondo l’articolo, infatti, l’ansia è (anche) “un meccanismo fisiologico che il corpo attiva nelle situazioni considerate minacciose. Una sorta di allarme che permette di reagire…”.
Appoggio questa tesi. Infatti, con me il meccanismo fisiologico dà davvero risultati magici: più l’inquietudine cresce, più mi viene voglia di porvi rimedio. Il che mi spinge a essere super attiva invece di deprimermi.
Succede, soprattutto, nel lavoro. Quando vedo gli impegni segnati sull’agenda, il primo istinto è richiuderla. E arrendermi alle ore che corrono troppo in fretta per lasciarmi la possibilità di trovare il materiale che mi serve. Decidere cosa scrivere. Fare le telefonate. E presenziare agli appuntamenti previsti dalla mia professione.
Morale, in certe giornate mi sveglio avvolta da cappa di ambascia che già aleggia. E quando mi sommerge completamente, mi ritrovo lì a cincischiare e a cercare scuse per rimandare ogni attività.
Poi, però, avviene il miracolo. Senza una spiegazione logica, come in un incantesimo la strada appare di colpo in discesa. E, finalmente, spariscono la sindrome del foglio bianco e tutto ciò che le assomiglia.
In altre parole, mi sento animata dall’irrefrenabile desiderio di darmi da fare, con addirittura l’intenzione di portarmi avanti.
Sì, perché ho scoperto che essere sempre un filino in anticipo sulla tabella di marcia mi placa più di uno psicofarmaco. Tant’è che ritoccare un articolo del numero di Confidenze successivo a quello in lavorazione mi assicura la stessa gioia di vedere un barattolo di Nutella in una dispensa che credevo vuota.
La “vittima” della mia mania è Angelina, il nostro direttore. La quale certe volte vorrebbe convincermi ai ritmi giusti. Eppure, non lo fa. Sicuramente perché è un tipo carino e rispettoso delle personalità mia e delle colleghe.
E poi, forse perché leggendo Ansia: sicura di riconoscerla? ha scoperto anche lei che l’agitazione rischia di spingere a “scegliere uno stile di vita routinario, con abitudini ripetitive e sempre uguali”.
Un’eventualità che non va bene in una redazione. Dove la creatività e la voglia di rinnovarsi sono indispensabili. Una linfa vitale!
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