La ripartenza dopo il lungo lockdown imposto dal coronavirus non sarà quella che molti italiani pensano. Ieri sera, in diretta nazionale, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si è espresso chiaramente sulla cosiddetta Fase 2: il 4 maggio non può essere inteso come la data del “liberi tutti”.
Al contrario, abbiamo davanti a noi un periodo lungo – di mesi – in cui dovremo comportarci in modo estremamente prudente. Perché? Per rispondere è necessario analizzare questi fatti.
Capire bene perché ripartiamo
L’Italia non “riapre” perché l’epidemia è sotto controllo, riapre perché non possiamo più permetterci, come sistema Paese, di continuare a stare fermi. Questo significa che l’infezione potrebbe tornare ad accelerare e la curva degli infetti a rialzarsi bruscamente. È un’eventualità che dobbiamo assolutamente evitare, altrimenti a breve ci ritroveremo daccapo e sarà necessario un nuovo lockdown, ancora più lungo e serrato del primo. Se accadesse, i danni economici e sociali che stiamo subendo ora non sarebbero niente in confronto. Certo, i ricoveri per Covid-19 sono in calo, il numero di nuovi contagi anche – e questi sono i segnali che fanno ben sperare e consentono la ripartenza -, ma il nuovo Coronavirus non è stato affatto sconfitto. È indispensabile che la nostra attenzione resti altissima.
Coronavirus, prepariamoci a nuovi focolai. E a una lunga convivenza
Il virus SARS-CoV-2 continua a circolare (nel mondo, alla data odierna, sono quasi 3 milioni i casi noti). Dovremo essere pronti a individuare prontamente l’insorgenza di nuovi focolai, che è verosimile che si verificheranno. Alcune proiezioni di cui ho dato notizia sulla mia pagina Facebook non sono rincuoranti: ricercatori americani prevedono focolai ricorrenti di SARS-CoV-2 dopo lo “tsunami” iniziale. La notizia positiva è che ora siamo più preparati, mentre la prima (e speriamo unica) ondata ci ha colto di sorpresa e i tanti contagiati gravi – troppi e tutti insieme – hanno sovraccaricato ospedali e unità di terapia intensiva oltre ogni possibilità di gestione.
Di anticorpi e immunità
Come ha ricordato proprio pochi giorni fa la stessa Organizzazione mondiale della sanità, non sappiamo se chi ha contratto il Covid-19, magari anche in modo solo debolmente sintomatico, e oggi è guarito sia protetto da una seconda infezione. Né siamo in grado di dire, anche qualora gli anticorpi sviluppati offrissero reale protezione, fino a quando potrà durare nel tempo tale immunità. Dobbiamo tassativamente limitare, quando non sia possibile evitarli del tutto, i comportamenti a rischio.
Mascherina, fedele compagna
Ci accompagnerà ovunque, perché è presidio fondamentale per ridurre il rischio di contagio. E’ essenziale tuttavia evitare di sviluppare un senso di falsa certezza: le mascherine non sono una protezione totale (alcune, poi, come quelle chirurgiche, proteggono più gli altri che coloro che le indossano). Questo significa che portare la mascherina non deve indurci a trascurare comportamenti preventivi persino più importanti ed efficaci, come il restare a distanza di sicurezza, lavarsi spesso e bene le mani, non toccarsi il viso se non con le mani pulite.
“Chi ama l’Italia mantiene le distanze”: sono le parole dette ieri dal Presidente Conte. Nei prossimi mesi dovranno diventare quelle di ognuno di noi.
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