Avete presente quei modi di dire del tipo «E’ ridotto a pane e acqua», oppure «Mangia solo pane e cipolle?». Di solito vengono usati per indicare situazioni drammatiche. Invece, io li riserverei ai momenti felici della vita. La sola idea di avere a portata di bocca michette, sfilatini, triangoli e ciabatte, infatti, mi mette di buonumore.
Si parla di questo alimento eccelso su Confidenze in edicola adesso nell’articolo C’è pane e pane, che ne illustra pregi e difetti. Con un occhio rivolto più verso i primi, visto che spighe, rosette e sinfonie (i cui nomi sono già musica per le orecchie) hanno davvero pochissime controindicazioni.
Certo, magari ingurgitate come se non ci fosse un domani si trasformano in un attentato alla linea. Ma, alla fine, 100 gr di pane apportano soltanto 300 calorie. Un nulla rispetto a tanti altri alimenti che non danno la stessa soddisfazione.
Perché mi diate ragione, vi sfido a trovare qualcosa di meglio per esaltare il cibo che portate in tavola. Per esempio, non sarebbe tristissimo un tagliere di salumi e formaggi spazzolato senza l’accompagnamento di crosta e mollica?
E come commentare la più goduriosa e ricca pastasciutta se, dopo aver raccolto l’ultima forchettata, non si può tirare lucido il piatto con una bella scarpetta?
Tra i plus, poi, c’è il fatto che il pane non si butta mai via: una volta raffermo, è perfetto da tuffare nel caffelatte alla mattina. Nel brodo per un’ottima zuppa invernale. E, ancora, nei pomodori per una panzanella estiva.
Ma non è tutto: una volta tritato, diventa l’ingrediente per cotolette alla milanese o verdure gratinate.
Insomma, «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» è una richiesta assolutamente legittima.
Eppure, a casa mia ne entra poco. Intanto, perché inizierei a mangiarlo nel tragitto fornaio-ascensore e non arriverebbe a destinazione. Ma se anche fosse, reclusa per lo smartworking lo sbocconcellerei ininterrottamente tutto il giorno.
Questo significherebbe lievitare come una michetta, a suon di michette. Che consumerei nei seguenti modi.
Appena sveglia, imburrerei la prima, per poi cospargerla di zucchero. Come aperitivo, invece, la condirei con un po’ di olio e sale. E a pranzo me ne scofanerei almeno una per fare (appunto) la scarpetta. Il tutto, in attesa del momento clou della giornata: la merenda con pane e Nutella.
A questo punto mi concederei (forse) un piccolo stop in vista della cena. Momento cruciale nel quale mi scatenerei, portando in tavola ogni bendidio. Cioè, pane con le noci, le olive, i fichi. Ma anche con semi di ogni genere, partendo da quelli di girasole per arrivare al papavero e alla zucca.
E’ chiaro che del mio desco non si vedrebbe neanche un centimetro di tovaglia. Completamente ricoperta di pani di ogni tipo e colore (bianco, giallo, nero), distribuiti in una sorta di splendido effetto mosaico.
Gli unici elementi mancanti in questa opera musiva stile Piazza Armerina? Il pane toscano, troppo insipido. E quello valdostano, duro e stopposo come la segatura.
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