“La tazzina con dentro il caffè, il cucchiaino che gira piano, la finestra del piccolo salotto appena accostata per cambiare un po’ l’aria, da cui entrano le dita del freddo, e tentano di graffiarlo. Ma Tarcisio Ghezzi, vicesovrintendente della Polizia di Stato in licenza di convalescenza, seduto su un divano marrone sformato dagli anni, non se ne cura. Davanti a sé, su un tavolino in vetro e metallo dal design così vecchio da sembrare modernariato, ha tutta una pila di scartoffie che deve firmare. Il rapporto, la denuncia, la scheda dell’arma perduta, cioè trafugata dall’aggressore, i moduli in duplice, triplice, quadruplice copia che percorreranno faticosamente la lunga mulattiera sassosa della burocrazia: questo al capo, questo a Roma al ministero, questo…Un rosario dolente di firme, carte, timbri… E ora legge i giornali. È chiaro che in questura non stanno facendo una figura bellissima, ma lui sa che il caso non è facile e perdona. I giornali no. E siccome Ghezzi sa leggere tra le righe, distingue toni e sfumature, e fa il punto della situazione”.
Non è stata un’estate leggera, quella che vi ho proposto qui. Libri non proprio leggeri. Estate caldissima e letteratura infuocata. In poche e semplici parole: vi ho praticamente assassinati.
Però la prima settimana di settembre, quella dove sempre tutti siamo pronti per andare a migrare insieme a D’Annunzio verso il nuovo anno lavorativo e tutto quello che questo può significare, è in fondo la più bella di tutte. La più estiva. La più lenta. La più romantica.
E cosa c’è di più romantico di una serata passata con un Sellerio blu ma talmente blu da essere giallo perfetto? Niente.
Questa volta vi propongo uno dei miei preferiti (lo so, mai citato un Camilleri – del quale conservo la memoria di un incontro meraviglioso davanti a oltre 2000 persone io e lui da soli su un palco a parlare di dialetti, Manzoni e Leopardi – che non sono mai riuscita a leggere e neanche un Malvaldi), scrittura veloce, ironica, molto sinistra: Alessandro Robecchi.
Il suo eroe seriale si chiama Carlo Monterossi, ed è nato nel 2014 (la serie, dico) ed è un detective per caso. Scrive per la televisione. È suo Crazy Love, il programma spazzatura condotto dalla sempre verde anche se ormai più che matura Flora De Pisis che lo ha reso famosissimo e ricchissimo. Scrive per la televisione ma la odia. La disprezza, anzi.
Sfondo e anima di ogni storia, Milano. Una Milano profonda, pulsante e desiderosa di vita. Una Milano che darebbe chissà cosa per avere un grammo dell’anima di Roma.
Carlo, e la sua squadra di amici e compari alternativi, finisce sempre in mezzo a un omicidio. Minimo. Carlo non si tira mai indietro. Neanche questa volta: c’è una donna dall’identità nebbiosa uccisa dopo essere stata torturata in modo barbaro da vendicare.
È un giallo. Uno di una serie, per ora, di quattro. Leggeteli tutti. Merita, è bravo. (E anche molto affascinante). La prima settimana di settembre è una settimana che si presta. Alle migrazioni dannunziane, dicevamo. Ma non solo quelle. Anche a quelle del cuore, della mente.
Alessandro Robecchi, Di rabbia e di vento, Sellerio
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