Sul numero di Confidenze in edicola adesso, l’articolo Tutti pazzi per il tè racconta quanto la bevanda della tradizione inglese piaccia anche agli italiani. Al punto che molti hanno votato la propria vita professionale all’infuso dorato, aprendo sale dedicate. Creando associazioni culturali. O, addirittura, studiando da sommelier.
Vi lascio leggere tutto sul giornale. Nel frattempo, vi parlo del mio rapporto con il tè. Che amo caldo o freddo. Naturale, corretto con un goccio di latte o una fettina di limone. Preparato con acqua bollente o in lattina.
Se ne bevo in quantità industriali, però, è per la stessa ragione che nel 1840 ha spinto Anna Stanhope, duchessa di Bedford, a introdurre nelle abitudini british l’appuntamento delle cinque con il fumante infuso: placare la fame tra l’ora della prima colazione e quella di cena.
Le cose sono andate proprio così. Visto che nell’Inghilterra del XIX secolo si usava saltare il pranzo, per non arrivare all’ora di cena voraci come lupi alla dama di compagnia della regina Vittoria è venuta la geniale idea di interrompere il digiuno pomeridiano con il tè. Accompagnato da dolcetti e tartine (low tea). Oppure da un vero e proprio pasto (high tea).
La stessa strategia di non mangiare a mezzogiorno l’ho adottata anch’io con lo smartworking. Perché la pericolosa distanza ravvicinata scrivania-cucina rischiava di trasformarsi in un attentato alla linea.
Così, per scongiurare la pinguedine i primi tempi mi ero data il divieto assoluto di entrare nel locale delle tentazioni a caccia di snack. Ma visto che da cosa nasce cosa, a un certo punto mi è venuto naturale salutare del tutto anche il pranzo.
Ed è stato quello il momento in cui il tè è diventato protagonista della mia vita. Sapendo che spesso è facile confondere la sensazione di sete con quella di fame, al minimo accenno di languorino ho cominciato a berne una tazza invece di buttarmi su nutella o fonzies.
Ma ci sono differenze tra le abitudini mie e degli inglesi dell’800. Per esempio, io sorseggio l’infuso a qualsiasi ora, senza relegarlo alle cinque del pomeriggio. E poi, non lo accompagno mai con qualcosa di solido.
Grazie a questo trucchetto sono riuscita a evitare che la sedentarietà del lavoro da remoto mi appesantisse come un macigno. In più, davanti al computer ne approfitto per disintossicare l’organismo con il canonico litro e mezzo di liquidi da assumere ogni giorno.
In realtà, ne bevo di più. E rigorosamente amaro. Perché anche un solo cucchiaino raso di zucchero moltiplicato per ogni tazza che ingollo quotidianamente ora di sera mi porterebbe a un valore calorico superiore a un piatto gigante di lasagne annegate nella besciamella. E forse sarebbe un po’ troppo.
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