Noi donne amiamo talmente il ruolo di mamma che iniziamo a interpretarlo già in tenera età, con i nostri bambolotti al seguito. Finché a un certo punto arrivano le lineette di conferma sul test di gravidanza: aspettiamo un bambino!
Da quel momento, nostro il mondo si trasforma in un caramelloso susseguirsi di preparativi e progetti. E, felici all’ennesima potenza per l’imminente lieto evento, non veniamo neanche sfiorate dal fatto che diventare genitori è davvero la prova più difficile nella vita di ogni essere umano.
Quindi, mentre il pancione aumenta continuiamo serafiche a immaginare il futuro in compagnia di frugoletti capaci solo di incantevoli sorrisini. Ometti che frequenteranno la scuola con successo. Teenagers desiderosi di condividere con noi ogni gioia. Ma non i dolori, perché ancora coltiviamo l’illusione che loro non ne dovranno affrontare neanche uno.
Insomma, sottovalutando l’adagio “figli piccoli problemi piccoli, figli grandi problemi grandi”, non mettiamo in conto che a un certo punto ci troveremo in casa L’ospite inquietante (per fare il verso al saggio di Umberto Galimberti sui giovanissimi e il nichilismo).
Di chi si tratta? Di un adolescente arrabbiato. Astioso nei confronti della famiglia. Deciso a non spiccicare parola con mamma e papà, che spesso vive come nemici.
Proprio a lui è dedicato l’articolo Figlio, cosa stai pensando? (su Confidenze in edicola adesso). Nel quale genitori perbene e dediti con tutta l’anima alla prole raccontano le difficoltà di comunicazione con i pargoli cresciutelli (ma non ancora adulti).
La fase per fortuna io l’ho già superata. Ma ammetto di ricordarla come un incubo. Perché pur cercando di dimostrare ai miei due ragazzi tutta la disponibilità a parlare, confrontarci, individuare soluzioni per qualsiasi avversità, trovavo di fronte un muro impossibile da abbattere.
Di quel periodo orribile ricordo tantissima sofferenza: mi sembrava impossibile che in una famiglia che si voleva un gran bene regnasse tanta ostilità. Della quale non sapevo neanche l’origine, proprio perché non c’era dialogo.
La magra consolazione che mi aiutava a tenere botta era il sapere (dalle amiche e da ciò che leggevo sui giornali) che la maggior parte dei genitori aveva i miei stessi identici problemi.
Ma se la consapevolezza non mi faceva sentire un caso isolato, purtroppo non toglieva pesantezza alla vita in casa. Né attenuava il terrore che le cose potessero peggiorare.
Invece, piano piano tutto si è aggiustato. E oggi, a distanza di anni, mi rendo conto che era una “semplice” questione di adolescenza. Vissuta dai ragazzi delle ultime generazioni con atteggiamenti non contemplati ai nostri tempi.
D’altronde, in un mondo tanto diverso rispetto al secolo (e millennio) scorso, forse è normale che siano cambiate anche le modalità di crescita e di affrancamento dalla famiglia.
Detto questo, finalmente (ri)vedo nei miei figli persone che mi piacciono, con le quali ci sono affiatamento, confidenza e intesa.
Ecco perché suggerisco massima allerta ai campanelli d’allarme. Ma ci tengo anche a tranquillizzare i genitori dei teenager. Dicendo loro che a volte la sirena suona più forte del dovuto.
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