Il mito del ragazzo dall’infanzia povera che rivoluziona il mondo della musica, scandalizza i benpensanti e scatena deliri nei fan, rivive in un film appena uscito. Che ripercorre l’ascesa e la caduta di ”The King” con ritmo adrenalinico
Considerato, a ragione, il più grande uomo di spettacolo del XX secolo, in 24 anni di carriera Elvis Presley ha venduto oltre un miliardo di dischi. Un record mai battuto da nessun cantante “singolo”.«Quando ero bambino, mi vedevo sempre come un eroe dei fumetti. Sono cresciuto credendo in quel sogno». Le ambizioni del piccolino, la cui vita è raccontata nel film Elvis, appena uscito nelle sale, hanno superato ogni più rosea aspettativa. Grazie al suo indiscutibile talento. A un manager molto chiacchierato, quel Tom Parker interpretato magistralmente da Tom Hanks nella pellicola. E a una combinazione di eventi che in teoria avrebbero potuto (anzi, dovuto) rivelarsi un disastro, ma che invece hanno permesso al re del rock’n roll di aggiudicarsi, appunto, lo scettro di The King. Per esempio, il trasferimento della famiglia a Memphis, nel Tennessee, in un quartiere di case popolari abitate da gente di colore.
Schivo, introverso e poco popolare per il look rivoluzionario con ciuffo ribelle e basette evidenti, Elvis è libero da pregiudizi e frequenta sia la comunità bianca sia la nera, entrando in contatto con entrambe le culture musicali. Al punto che agli esordi, chi ascoltava le sue canzoni in radio pensava fossero interpretate da un artista black. Figlio di Vernon e Gladys, alla quale è legatissimo, Presley inizia a suonare la chitarra ricevuta come regalo di compleanno dai genitori. Non sa leggere gli spartiti, ma il suo orecchio musicale lo porta a incidere il primo disco per la Sun Records di Sam Phillips. Agente che terrà fino all’incontro con Parker, che lo introduce alla più importante Rca. E la carriera esplode. Amatissimo dai fan, ma inviso dalle autorità governative che lo considerano un pericolo per la comunità (viste le frequentazioni con i neri) e un veicolo di perdizione per i giovani (i suoi movimenti pelvici scatenavano il delirio del pubblico femminile), Presley diventa leggenda con lo scaltro Parker. Figura fondamentale nella sua vita (non solo artistica) e voce narrante nel film. Elvis the pelvis (secondo la rockstar «una delle espressioni più infantili proveniente da un adulto»), però, dà del filo da torcere a Tom, preoccupato per la strada del tutto inedita intrapresa dalla star: mai si era visto un cantante capace di spaziare dal rock’n roll al rhythm and blues, dal country al gospel, dal melodico al pop, stravolgendo la cultura musicale Usa. In più, Elvis era un bianco con voce e movenze da nero. Una chicca per i fan, che accoglievano ogni sua esibizione con scene da delirio di massa. Un problema per i benpensanti. Tant’è che l’agente deve ricostruirne l’immagine. Così, trasforma la chiamata militare di Presley nell’occasione per dimostrare moralità e attaccamento alla patria dell’artista.Discesa agli inferi
Una mossa astuta che mantiene Elvis in vetta alle classifiche. E che gli permette di coronare i suoi sogni. Come acquistare nel 1957 una villa, Graceland, dove si trasferisce con la famiglia e il suo entourage. E regalare una Cadillac rosa all’adorata mamma Gladys. La cui morte contribuisce al declino di Presley. In realtà, la parabola discendente è già cominciata con le scelte sbagliate di un Parker deciso a camuffare Elvis nel bravo ragazzo che vogliono i detrattori. Cioè, la spinta nel mondo del cinema che tanto affascina The King («Si sa che i cantanti vanno e vengono, ma se sei un bravo attore, puoi durare a lungo») con una trentina di pellicole non bellissime («L’unica cosa peggiore che dovere guardare un brutto film è averci recitato»). E l’incisione di canzoni di Natale molto lontane dal suo stile. Il danno è fatto. Tant’è che la rockstar cade in uno stato di prostrazione dalla quale non lo salvano neppure la moglie Priscilla (con il quale rimarrà in ottimi rapporti anche dopo il divorzio) né la nascita della loro figlia Lisa Marie nel 1968. E qui, come spesso accade, partono l’abuso di psicofarmaci, la serie di ricoveri per disintossicarsi, lo sfacelo fisico. Tutto ciò non impedisce a Parker, giocatore incallito bisognoso di soldi, di obbligare Elvis a pubblicare album a raffica. E pur di riempirsi le tasche, visto che il contratto tra i due prevede il 50% a testa degli incassi, lo spinge ogni sera sul palco a Las Vegas, per tenere concerti della durata di un’ora (o di soli 50 minuti). Va da sé che Presley non può reggere. Infatti, dopo il concerto al Market Square Arena di Indianapolis, il 26 giugno 1977 The King muore nella sua camera di albergo alle 4,30 per arresto cardiaco a 42 anni. Ma il suo mito continua a vivere. E la villa di Graceland è tutt’ora un luogo di culto.●
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