L’estate del Covid 19 sta dando i suoi abbondanti frutti: e da settimane le cronache sono piene di nuovi casi di contagio, dai più eccellenti come Silvio Berlusconi e Flavio Briatore, all’uomo della porta accanto. La ripresa del picco dei contagi subito dopo le vacanze è stata addebitata ai tanti ragazzi che hanno trascorso l’estate infischiandosene delle più basilari regole di distanziamento sociale, pensando che il virus fosse ormai alle spalle e che comunque non li riguardasse per ragioni anagrafiche. Con il risultato che intere famiglie si sono dovute mettere in quarantena preventiva solo perché il figlio o la figlia erano venuti a contatto con qualcuno di positivo. Una situazione ben descritta nella storia vera pubblicata su Confidenze (L’estate del Covid 19). Ma come si trascorre la quarantena? Chi ha avuto modo di farsela raccontare come la sottoscritta, si è sentito descrivere giornate tutte uguali, trascorse chiusi in casa ad aspettare il referto di un tampone, incontri di lavoro annullati, relazioni familiari azzerate, vacanze annullate e l’incognita pesante di essere positivi e avere infettato i propri familiari. I tempi sono tutt’altro che rapidi bisogna calcolare almeno 15 giorni di inattività, in attesa che i tamponi ripetuti a distanza diano il loro esito negativo, e questo magari non per colpa propria, ma per il comportamento inappropriato di qualcuno con cui siamo venuti a contatto.
In queste settimane di riapertura delle scuole bisogna fare ancora più attenzione: c’è il pericolo di cosa i ragazzi portino a casa uscendo da scuola e andando sui mezzi per poi magari transitare a mangiare a casa dei nonni, facendo da portatori ignari del contagio. Per questo è importante continuare a ridurre al minimo i contatti sociali, e gli incontri tra esponenti di generazioni diverse. Certo, poi quando si legge che hanno riaperto gli stadi, se pur limitando l’accesso a un numero massimo di 1.000 persone, un po’ cadono davvero le braccia, perché è difficile pensare che quei ragazzi stiano seduti al proprio posto indossando la mascherina e al primo goal segnato non esplodano in un giusto boato di gioia, infischiandosene delle famigerate goccioline di saliva o droplet che si dir si voglia.
Qualcuno potrà obiettare che dobbiamo comunque imparare a convivere con il virus e che la vita delle persone non si può fermare più di tanto e neppure l’economia, né tanto meno quella calcistica e che se i cinema hanno riaperto allora non si capisce perché non possano farlo gli stadi e in generale tutte le competizioni sportive. Tutto vero. Ma almeno cerchiamo di seguire le regole basilari di distanziamento sociale e mascherina, soprattutto quando dai principali esperti mondiali, come il virologo Anthony Fauci, arriva il monito che la pandemia durerà ancora a lungo (due anni) e che torneremo a vedere la normalità non prima del 2022.
Ultimi commenti