Faresti un figlio oggi? Dialoghi da ascoltare sulle maternità

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Nel podcast "Mama non mama” la giornalista Barbara Stefanelli affronta con alcune donne famose le gioie e le sfide della maternità oggi. Anzi, delle maternità. Perché ogni donna è (o non è) madre in modo diverso

Se potessi, faresti un figlio oggi? In Italia, lo sappiamo, nascono sempre meno bambini. E se a volte le donne scelgono di non averli, spesso invece c’è una non-scelta dovuta a un mix di circostanze: quando c’è il compagno, non c’è il lavoro; quando c’è la stabilità economica, non c’è la persona giusta; quando c’è tutto ormai è troppo tardi, quando ci si accorge di volerne non arrivano… Pensando alla maternità, realizzata, desiderata, mai arrivata per caso o per scelta, Barbara Stefanelli, vicedirettrice del Corriere della Sera ha scritto per Audible il podcast “Mama non mama”: sette episodi in cui, insieme ad alcune donne famose, la giornalista si confronta sulla libertà di essere madri (o meno. Ce ne parla l’autrice.

Da dove è nato il progetto?

«Da anni lavoro sui temi delle donne e mi sono resa conto di quanto la maternità rappresenti ancora un passaggio molto complicato e di come, anche nelle esperienze più felici, ci siano sempre molte emozioni che rimangono sotto traccia, inespresse. Raccontarle significa anche liberarsi di tanti cliché, farsi fatte, luoghi comuni».

Nei sette episodi dei podcast si alternano donne molto diverse, da una conduttrice come Lodovica Comello a una sportiva come Elisa Di Francisca, da una regina della tivù come Maria De Filippi  a una scienziata come Ilaria Capua. Qual è il filo conduttore?

«Ognuna di queste donne offre una versione diversa della maternità. L’idea è quella di aprire le porte e le finestre, smitizzare certi tabù, far capire che ogni donna può entrare in questa dimensione come vuole e se la sente, perché non esiste un solo modo di essere madri. Per esempio Elisa Di Francisca: la campionessa di scherma racconta come, dopo la gravidanza, abbia ottenuto le vittorie più soddisfacenti, smentendo il pregiudizio per cui il corpo materno non può anche essere fisicamente forte. Oppure Carmen Consoli, mamma single, che racconta come sia andata all’estero per avere un figlio con la donazione di seme, cosa che in Italia è molto complicata. Oppure ancora Lodovica Comello: il suo è il caso di una donna giovane, che non aveva programmato la gravidanza, e poi quando si ritrova sola con questo neonato tra le braccia prova un senso di panico che tante sperimentano. Solo che spesso ci si vergogna di sentirsi sole, di provare certe sensazioni che si pensa non dovrebbero far parte della maternità».

Eppure,  di depressione post partum o delle difficoltà di essere madri si è parlato anche tanto. Manca il confronto con le generazioni della madri o delle nonne?

«Certamente manca il contesto familiare che passava certe esperienze: il filo del racconto di madre in figlia si è spezzato, molte giovani si sentono sole, prive di uno scudo. Da un’inchiesta che ha fatto il Corriere sulle ragazze, è emerso che la maternità per molte arriva in fondo alla liste delle priorità, mentre il lavoro è visto come spazio di realizzazione. La maternità è quasi considerata un ostacolo o comunque allontanata nel tempo. E la sensazione è che a volte manchi proprio lo spazio per pensarci, per elaborare una scelta: non che si debbano avere figli per forza, si può prendere qualunque strada, decidere per il sì o per il no, ma non prendere nemmeno in considerazione la possibilità di diventare madri secondo me è un errore. Lo dico anche per esperienza: mia figlia è arrivata un po’ da sola, un po’ per caso, e solo quando è successo mi sono resa conto che avevo un desiderio di maternità a cui non avevo ancora permesso di emergere».

Per le ragazze di oggi è più difficile fare questa scelta?

«Sì, sono ancora più pressate di quanto lo siano state le generazioni precedenti. Io per esempio potevo avere delle incertezze, ma non ho mai temuto di non riuscire a rendermi indipendente. Adesso è tutto più complicato, non a caso il nostro indice di natalità è uno dei più bassi d’Europa. Però si può cambiare. Prendiamo la Germania: aveva un indice di natalità bassissimo, si è ripresa cambiando la legge sui congedi parentali, stimolando anche i padri a prenderli e introducendo altri stimoli. Poi, certo, bisognerebbe che per ogni bambino ci fosse un posto al nido».

E forse anche che il tema della natalità e dei sostegni a questa scelta fosse “messo al centro” anche dalla politica.

«Certo. Al di là delle difficoltà oggettive, è un po’ come se questo tema fosse rimasto in ombra, chiuso dentro una scatola. Ecco perché questi sono dialoghi sulle maternità al plurale, perché è un mondo variegato e che andrebbe portato al centro nei suoi diversi aspetti».

 

 

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