Federica Bosco: «In cucina volo alto. E poi mi schianto»

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Federica Bosco sarà con noi sabato 19 ottobre all'evento I feel good. Con la scrittrice parleremo di amore e altre catastrofi. E poi di vita da single con un gatto, un po' come quella che ci racconta in questa intervista

Federica Bosco, scrittrice di bestseller da oltre un milione e mezzo di copie, sarà con noi all’evento I feel good (per iscriverti: eventi.mediasei.it/ifeelgood). Con lei, sabato 19 ottobre alle 15, parleremo di amore e altre catastrofi. E di vita da single con un gatto, come quella che lei racconta nell’ultimo libro, Il mio gatto mi detesta. E di cui ci ha parlato nell’intervista che segue.

DI PAOLA PELLAI

Federica Bosco in cucina ci vive. Lì, sorseggiando tazze di caffè, ha scritto buona parte dei suoi bestseller da oltre un milione e mezzo di copie. E lì, da tre anni, condivide lo spazio con Thomas, un gatto di razza Maine Coon dal manto rosso e dal carattere impegnativo. Proprio con il felino è nata l’idea di scrivere Il mio gatto mi detesta, il tragicomico diario di Thomas e Federica. «È rientrato fradicio dalla pioggia» esordisce la scrittrice, «e guarda dove va a posare le sue zampette inzuppate di fango: sul divano. Ma lo ammetto: Thomas, cucina e caffè sono i tre punti cardinali della mia vita».

È vero che per lui spendi più che per te?
«Sì, lui non è un gatto ma un principino. Un tempo c’erano giusto tre scatolette, ora invece ci sono milioni di bustine, bocconcini, petto di pollo, sfilaccetti, mousse al melograno, all’alce, alla renna… Un salasso».
Presti identica attenzione alle tue ricette?
«Ho l’incapacità innata di memorizzare una ricetta, la devo rileggere all’infinito. E poi ne confronto almeno cinque simili ma non uguali: faccio un mix e poi mi arrabbio perché il risultato non è quello della foto».
Le tue specialità?
«Mi cimento spesso nel soda bread, il pane irlandese, molto semplice: non prevede lievitazioni e si conserva per giorni. Alla serata finale di Sanremo ho portato ai miei amici la schiacciata alla fiorentina, il nostro dolce tipico di Carnevale. Me l’hanno promossa a pieni voti ed è complicata da fare: prevede molte lievitazioni, la farcitura con crema chantilly e una fragranza d’arancio. Buonissima ma non l’ho rifatta: è troppo stancante».
Insomma le abilità ci sono, ma la pigrizia le sottomette?
«Abilità è un parolone. Per i maritozzi, per esempio, ho trovato 15 ricette molto simili ma con tempi di lievitazione diversi: dalle otto alle 16 ore. Ho fatto il solito mix di ricette: sono usciti maritozzi spettacolari ma immangiabili, sembravano spugne di mare. Ogni Natale, invece, preparo i biscotti con le formine e poi ci disegno occhi e bocca o faccio le stelline che tengono una mandorla sotto braccio. Lo scorso dicembre mi sono detta che era ora d’imparare a fare la glassa».
Davvero?
«Sì, ho speso un patrimonio in confezioni di sac à poche, beccucci di ogni misura e coloranti edibili… Ho provato tre volte ed ogni volta è stata una tragedia: colava tutto, mi sono colorata anche l’anima. La cucina è come la mia vita: va a tentativi. Volo alto e a volte mi schianto. Ma non demordo e ho pure una ricetta vincente al 100%».
Quale?
«È il banana bread, un plumcake alle banane: mi viene così bene che, se ho un favore da chiedere a un amico, suono alla porta con quello in mano e vinco ogni volta. Lo faccio da 20 anni ma non viene mai uguale due volte di fila. Non peso nulla, vado a occhio, le unità di misura sono i bicchieri. A volte metto due banane, a volte tre, a volte uso più burro a volte meno ma il sapore è sempre ottimo. Per questo vi giro la ricetta e ho fatto pure lo sforzo di sostituire i bicchieri con le dosi».
La cucina del single com’è?
«È una definizione che non mi rappresenta perché mi sa molto di milanese fighetto, di “sushino” e di retorica del tipo “io mi amo e apparecchio la tavola con il servizio buono anche da sola”. Ma anche no, io mangio in piedi appoggiata al frigo, niente carne ma cose vegetariane. Ti dirò di più: la data di scadenza sulle confezioni non mi preoccupa. Decido io se quel prodotto è scaduto o no».
Se apro il frigo cosa ci trovi e cosa vorresti trovarci?
«Vorrei trovare tutto pronto fatto da mamma e che non mancassero mai i suoi carciofi alla romana. Invece ci trovo insalate, formaggi, avocado, pizze surgelate, uova e il petto di pollo del gatto».
Ma sei a dieta?
«Sono stata a dieta la maggior parte della mia vita. Sono cresciuta negli anni ‘70 quando imperversavano la Scarsdale, la dieta punti, la Weight Watchers, solo minestrone, solo uova, solo beveroni, pesa questo pesa quello… Le ho provate tutte, ossessionata dal fisico di Claudia Schiffer e Naomi Campbell. L’adolescenza l’ho passata con il golf legato in vita, i maglioni lunghi, vestita di nero anche d’estate e il costume intero al mare».
Mamma cosa ti cucinava?
«Lei cucina benissimo e con grazia ma l’ho capito dopo. In famiglia era tutto impostato su gusti adulti improponibili per una bambina: lo spezzatino, il minestrone, il lesso, la lingua in salsa verde. Poi per fortuna sono arrivati gli anni ‘80 che hanno sdoganato il sofficino. Ma il mio ricordo del cuore è la mozzarella in carrozza, l’avrò mangiata tre volte in 14 anni ma l’ho ancora in mente».
In gioventù hai lavorato pure nella ristorazione.
«Facevo la cameriera, al massimo imburravo le tartine. Ma in famiglia un cuoco l’abbiamo: è mio fratello, 10 anni meno di me. A San Casciano in Val di Pesa, terra di Chianti e olio, ha Nostro, un locale con enoteca».
Da Milano sei tornata a Firenze. Una ricetta l’hai portata con te?
«Ma no! Anzi, a Milano avevo la macchina del pane, la gelatiera, la vaporiera, l’essiccatore, la yogurtiera, un enorme frullatore. Per anni inutilizzati nell’armadio, prima di partire li ho regalati. A Firenze non ho ricomprato nulla. Ho giusto un minipimer che per una maionese al volo può tornare utile».
Soltanto?
«In effetti, ho anche una friggitrice ad aria. Mi ha convinto la frase: “Ci fai tutto”. In realtà, sono più le cose che non ci fai di quelle che ci fai. Però è un bellissimo vaso per i fiori».
Primi piatti?
«Non li mangio. Io vado di secondo con contorno più il dessert. Sono golosa di gelato, adoro tutto quanto è cremoso e pannoso. Non ti dico cosa facevo da ragazzina grassottella…».
Dimmi
«Uscivo da scuola e mi mangiavo un hot dog. Poi rientravo a casa e pranzavo. Ma il peggio veniva dopo. In camera avevo un kit di sopravvivenza: crema alla nocciola e fette biscottate. Conservavo tutti i barattoli vuoti. Una volta in camera trovo impietosa la sfilata dei barattoli svuotati e il ghigno della mamma… Umiliante».

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Pubblicato su Confidenze n 17/2024

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