Figlio di ogni terra

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La storia preferita del n. 15 è il racconto di un progetto di vita che si riassume in due parole: Smart Walking

Da marzo a ottobre mi tuffo nei sentieri di tutta Italia, cammino per cinque ore al giorno e per il resto lavoro. È il progetto di vita che mi sono ritagliato su misura, un perfetto equilibrio tra passione e dovere, bellezza e benessere

Storia vera di Davide Fiz raccolta da Marco Angilletti

La mia essenza da camminatore si nutre del rumore di scarponi su una mulattiera fiancheggiata da ginestre, immersa in una musicalità interiore che orchestra tutti i sensi. Il mio cammino è una spiga di grano solleticata da una libellula. Il fruscio di una quercia pronta ad abbracciarmi. Il volo di un airone verso nuovi intenti. È il riflesso del mio viso che si specchia in un ruscello. Un tramonto che sceglie il mare come culla, nel battesimo di un’emozione. I rintocchi di un campanile in un borgo dove le case vuote parlano ancora. E io le ascolto.

Sono un abitante temporaneo di mille luoghi. Porto con me soltanto uno zaino, è tutta la mia casa: otto chili sulle spalle con lo stretto necessario e una bandiera della pace addobbata con gli stemmi di tutti i cammini percorsi fino a ora. Il mio progetto di vita, ”Smart Walking for Smart Working” (cammini agili per lavoro agile, in una traduzione approssimativa) mi permette di abitare ovunque senza mai sentirmi straniero.

In questi giorni mi trovo sui sentieri del Kalabria Coast to Coast, uno squarcio di bellezza esteso dallo Ionio al Tirreno e incoronato dalla rivista Time come una delle 50 mete straordinarie da esplorare nel mondo. Faccio tappa a Petrizzi, un borgo di collina scelto dai monaci in fuga dalle invasioni arabe in Oriente centinaia di anni fa. L’atmosfera per le vie è impregnata di sacro, di silenzi carichi di devozione, di senso pieno di condivisione. Ad attendermi sotto un pioppo c’è un settantenne, si chiama Pietro. E quello non è un pioppo qualunque, è il cuore del paese. La gente del posto continua a incontrarsi “sutta d’u chiuppu”, dove si commenta il quotidiano e si rispolverano memorie.

Pietro è uno di quei “padroni dell’aria” che mi baciano la fronte dandomi il benvenuto in ogni luogo. Negli occhi infaticabili si decifra tutto l’entusiasmo di chi spende l’intera giornata, e non certo per mestiere, ad accogliere i camminatori. «Se ti dono un po’ della mia realtà, tu la racconterai ad altri e il mio paese non morirà mai». Lui è un’evangelista delle radici. Le tramanda con fiato incalzante, senza tralasciare dettagli. Il racconto è l’unica arma che ha a disposizione per non cedere alla desertificazione dei piccoli borghi.

Quante porte chiuse e finestre ombrate di ragnatele. Un frantoio in disuso, le mura diroccate, gli antichi forni. Nel nostro giro, Pietro è in grado di dare fiato a ogni anfratto disabitato. Insieme a me ci sono un fiorentino, una marchigiana e un serbo, sconosciuti anche loro; i cammini, però, hanno il potere di risvegliare l’appartenenza a quell’unico grande insieme che porta il nome di umanità. Razze, accenti, colore della pelle: tutto è superfluo quando si cammina. È come tornare nudi, spogliati di inutili sovrastrutture. Si cammina per essere se stessi nella riscoperta dell’altro e dell’oltre.

Sono i piccoli gesti a colmare la mia sete di emozioni: le carezze inconsapevoli di persone anonime, le smorfie dei bambini, i saluti degli anziani seduti su sedie di paglia, le domande piene di curiosità in una bottega, l’agricoltore che mi offre le primizie del campo. Da quando ho cambiato vita, sono un Davide più autentico e più ricco, lontano da orpelli ed etichette. C’è chi mi accoglie come un piccolo miracolo, mi vede arrivare a piedi e già mi concepisce come portatore di cose buone. A me non sembra di compiere chissà quale grande impresa, se non lasciarmi guidare da un progetto costruito su misura per la mia persona. Tutto è nato dopo una delusione sentimentale. Genovese di origine e toscano di adozione, mi ero trasferito in Sicilia per amore. Poi la fine della storia, il ritorno a Livorno, l’inadeguatezza e il desiderio di voltare pagina.

Perché restare ancorato a una casa, a una sola città, se il mio lavoro di commerciale freelance mi permette di operare da qualunque angolo di mondo, purché ci sia una connessione alla rete internet?

Amo le contaminazioni, il nuovo, la bellezza. E le cose belle non le rintracci tra le quattro mura, ma fuori, incontrando gente il cui vissuto sa essere un arricchimento. È così che è nato Smart Walking for Smart Working, un perfetto equilibrio tra passione per i cammini e dovere lavorativo. Da marzo a ottobre mi tuffo nei sentieri di tutta Italia, camminando per cinque ore circa e dedicando il resto della giornata alle incombenze lavorative. Poi da novembre a febbraio raggiungo mio fratello alle Canarie e lavoro da lì.

Sono figlio di ogni terra, di quella a cui sono legate le mie radici e di quelle straniere che ogni giorno imparo a esplorare.

Sicuramente la mia infanzia ha agevolato l’apertura benevola nei confronti della natura. Ogni estate ci ritrovavamo in una casa di campagna in Liguria con tutta la famiglia allargata. Bambini di città, liberi di stare all’aria aperta per intere giornate. Capanne sugli alberi, tornei improvvisati, le corse per giocare a “Chi ha paura dello sparviero?”. Credo che zio Mario, ora passato a miglior vita, abbia in un certo senso influenzato la mia passione per i cammini: è con lui che per la prima volta mi sono ritrovato con borraccia e zainetto in spalla. Ricordo il primissimo bivacco visitato, nell’Alta Via dei Monti Liguri.

Poi crescendo ho dato fiato all’entusiasmo per i viaggi: il primo Interrail a 22 anni, tre settimane in Kurdistan e ancora vari giri tra India, Brasile e Angola.

Il cammino di Santiago ha avuto un forte ascendente sull’uomo che sono; il primo cammino, quello portoghese, l’ho percorso nel 2015, ma la rivoluzione è arrivata l’anno successivo con il cammino di Santiago francese. Partito a maggio con la neve sui Pirenei per arrivare alla meta a giugno, in pieno clima estivo. Non mi era mai capitato di camminare per 40 giorni. Ho staccato da tutto e da tutti, ho fatto i conti con la mia duttilità, la mia resistenza fisica. Mi sono ritagliato momenti di meditazione su una roccia, buttando giù pagine di pensieri sparsi dalla panca di un ostello. Ho gioito, pregato e condiviso attimi con persone provenienti da ogni continente, catapultato in un’altra dimensione in cui ho ritrovato bellezza e benessere.

Quando nel 2021 mi sono trovato costretto a ricomporre i pezzi dopo la delusione d’amore, a 45 anni, ho deciso di ripartire proprio da Santiago e ho iniziato il percorso cosiddetto primitivo. Avvertivo dentro un’insolita pulsione, come se dovessi partorire qualcosa di straordinariamente importante e andassi alla ricerca della giusta mangiatoia. L’idea era ben definita, mancava solo una chiara identificazione. Arrivò una burrasca, vento e pioggia mi agitarono le ispirazioni, poi un sole improvviso. L’epifania del mio progetto poteva essere benedetta con quel nome che finalmente sembrava il più appropriato: Smart Walking for Smart Working.

Rientrato in Italia ho messo tutto nero su bianco. Ho investito tempo, denaro ed energia e nel 2022 il progetto ha preso quota con una prima iniziativa: percorrere 20 cammini nelle 20 regioni italiane. Ho macinato oltre 2500 chilometri, dividendomi tra trekking e lavoro nei borghi attraversati, con il cuore gonfio di felicità a ogni destinazione.

Non sono mancate le difficoltà, in fondo era pieno di ammaccature interiori che si sporcavano più degli scarponi sui viottoli. Eppure alla fine ogni cosa è stata terapeutica. La stampa e i social media mi hanno dato una risonanza inattesa e in poco tempo la rete di contatti si è fatta sempre più fitta, consentendomi di partecipare a tante iniziative sul turismo lento, sui cammini e sulla conciliazione vita-lavoro. Oggi il progetto è stato sposato da partner di tutto rispetto che mi consentono di proseguire la mia avventura e il 9 marzo 2023 è partita una seconda idea progettuale, Smart Walking Coast to Coast, cammini che attraversano, cammini che uniscono.

Mi reputo un privilegiato. Girovagare per tutti questi luoghi, sentendomi turista e autoctono insieme. Il mio progetto ha un obiettivo ben preciso: vuole essere un pungolo di riflessione sulla vita che davvero desideriamo, ripartendo dalla valorizzazione dei territori. L’economia capitalista ha finito per inglobarci in una dimensione meccanica in cui finiamo per limitare ogni vivacità e ogni passione.

Dico sempre che è come se fossimo inseriti in un circuito a tre fasi: lavora-consuma-crepa. Io, però, non lo accetto. Con la vita che conduco oggi, la mia testa è sempre stimolata, così la mia creatività. E la cosa bella è che non mi sono mai estraniato dal mondo, ritenendo che la mia scelta di vita dovesse essere totalizzante, anzi, sono animato da un insolito dualismo: da un lato la quiete dei cammini, dall’altro il caos dello stadio. Nasco e muoio tifoso del Genoa, sono il fotografo ufficiale della gradinata Nord. Può sembrare paradossale, ma il frastuono della curva mi elettrizza e mi fa sentire vivo. Forse il mio equilibrio sta proprio in questo: non rinunciare a nulla, ma ricercare un punto d’incontro. Mi sono riappropriato della lentezza della vita che è un dono incommensurabile, a partire dal tempo dedicato al dialogo con gli altri. Le chiacchiere con una coppia di anziani sul Vallo di Diano o ancora con un uomo in Friuli che vive in una stazione abbandonata. Ogni parola condivisa diventa un guadagno per l’anima. Rallentare è tornare a vedere le cose con il giusto tempo e i giusti occhi.

Voglio che questo progetto diventi un lavoro? No. Perderebbe tutta la poesia che oggi esprime. E io, senza poesia, sarei semplicemente una panchina senza paesaggio.

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