Gabriele Corsi: «Senza mia moglie io precipito»

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Il vulcanico conduttore di Don't forget the lyrics ci parla di sé. Della passione per la musica. Dei prossimi impegni. E della persona senza la quale lui "precipita”

Dopo la conduzione di PrimaFestival a Sanremo con Bianca Guaccero e Maria Sole Pollio, Gabriele Corsi è tornato sul Nove (in streaming su Discovery +) con Don’t forget the lyrics. Stai sul pezzo. Ma non è tutto, perché dal 13 al 17 maggio sarà, per la quinta volta, il conduttore per l’Italia dell’Eurovision Song Contest, quest’anno insieme a Big Mama. Qui, Gabriele ci racconta come l’armonia familiare sia alla base dei suoi successi.

Quanto sei contento di essere tornato sul Nove con questa gara canora?

«Tantissimo. È un programma in cui metto anima, cuore. E anche il fisico, visto che ballo tutte le canzoni. Noi siamo un musical perenne, anche gli stacchetti sono suonati dal vivo. Andiamo in onda in un orario molto affollato di trasmissioni, ma se siamo arrivati alla settima edizione vuol dire che stiamo andando bene. Don’t forget the lyrics piace perché è un programma trasversale, per tutta la famiglia, possono vederlo anche i bambini, che si divertono molto».

La musica è sempre stata una tua passione? A cantare come te la cavi?

«Sono nato in una famiglia dove se ne ascoltava tanta, dai Beatles a Pavarotti. Poi, ho studiato chitarra e cantato in un gruppo. Diciamo che me la cavicchio».

Chi sono i concorrenti del tuo programma?

«Arrivano persone che guardando Don’t forget the lyrics scoprono di avere una memoria prodigiosa. E tanti appassionati di musica. Ci sono il chirurgo, l’impiegato, la professoressa. Insomma, un po’ di tutto e di ogni età».

Hai trasmesso la tua passione ai figli, Margherita (21 anni) e Leonardo (18)?

«Sì, sono cresciuti ascoltando ogni genere in casa. Dopodiché, ovviamente hanno i loro gusti. Sono bravissimi ragazzi, a scuola non hanno mai avuto problemi. Margherita ora studia canto jazz a New York. Mentre Leonardo quest’anno avrà la maturità. Lui ha una mente scientifica pazzesca».

Ti abbiamo visto a Sanremo. Che esperienza è stata vivere il Festival dall’interno?

«Per me è stato come andare dieci giorni al luna park, in mezzo a un po’ di isteria finale. In città, poi, non ci si muoveva per la gente che c’era».

Con te è venuta anche tua moglie Laura (Pertici, giornalista)?

«Certo, senza mia moglie io precipito. Di notte spesso mi sveglio, in preda a mille pensieri, e per riprendere sonno devo aggrapparmi a lei. Infatti, ha tutti i pigiami stropicciati sulla schiena. Per l’ultima serata aveva scelto un abito bellissimo, ma purtroppo non ha potuto sfoggiarlo. Mi era venuta la febbre a 40 e abbiamo dovuto seguire la finale dalla camera dell’abergo. Sono salito sul palco solo per i saluti, dopo aver fatto un’iniezione di cortisone».

La vostra è una lunga storia felice. Devi i tuoi successi anche alla tranquillità sentimentale?

«Sì, devo la mia carriera alla solidità familiare. Io e Laura siamo insieme da 23 anni e sposati da 22. È la persona più intelligente che conosca. Certo, a volte litighiamo perché abbiamo due personalità forti. Ma la sera l’unica cosa che desidero è tornare a casa. E mi piace fare la spesa. L’ho fatta anche a Sanremo, ma gli addetti alla sicurezza hanno dovuto scortarmi perché il pubblico mi bloccava e non mi lasciava andare via».

Come vi siete conosciuti?

«La prima volta che l’ho vista facevo uno spettacolo sui cartoni animati, con il Trio Medusa. Io ero uno dei personaggi di Occhi di gatto e indossavo una tutina gialla attillatissima. L’ho corteggiata, ma non pensavo di interessarle. Invece, alla fine mi ha confessato di aver pensato che un tipo così non l’avrebbe più trovato».

A Sanremo ti abbiamo visto commosso dalla canzone di Cristicchi, Quando sarai piccola. Ti ha colpito al cuore?

«Sì, me l’ha spezzato. Conosco l’Alzheimer, l’ho vissuto in famiglia e ho scritto anche un romanzo autobiografico, Che bella giornata, speriamo che non piova (Edizioni Cairo), dove racconto lo strazio della malattia che ha colpito papà, ex docente universitario, facendogli perdere completamente la memoria. Il libro è alla quarta ristampa e mi chiamano continuamente nelle librerie per parlarne. Cosa di cui sono davvero molto contento, perché tutti i ricavi vanno in beneficenza all’Unicef e alla Fondazione Antea, che offre gratuitamente cure palliative ai pazienti inguaribili».

Tuo padre era ingegnere. La mamma professoressa di matematica. Come vedevano il tuo estro artistico?

«Ho sempre voluto fare l’attore, fin dalle elementari, e i miei genitori erano molto preoccupati. Invece, la nonna mi appoggiava. Comunque sia, mi sono laureato in Scienze Demografiche, materia di cui non mi sono mai occupato perché, nel frattempo, avevo studiato anche recitazione. Era nato il Trio Medusa (con Furio Corsetti e Giorgio Daviddi). Inoltre, avevo iniziato a lavorare come deejay in radio. Tant’è che mi sono ricordato di ritirare il certificato di laurea soltanto l’anno scorso».

La nonna che stava dalla tua parte era la marchesa?

«Proprio lei. Una signora elegantissima, che tutti i giorni leggeva Le Monde e il New York Times. Ma era anche molto moderna. Infatti, nel dopoguerra aveva voluto andare a lavorare come segretaria. Da lei ho imparato il rispetto per le donne e la buona educazione. Con il suo bastone mi indirizzava gentilmente, sento ancora il pomello metallico sulla mia nuca. La nonna era nobile soprattutto nell’anima».

Tornando a Don’t forget the lyrics. A chi consigli di seguire il programma?

«A tutti. Perché, come dicevo, è trasversale e le famiglie possono guardarlo insieme, coinvolgendo anche i bambini. E cantare in compagnia è bello».

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Intervista di M.G. Sozzi, pubblicata su Confidenze 13/2025

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