Quando eravamo in montagna e nevicava un sacco, uno dei nostri divertimenti preferiti da ragazzini era lanciarci con il bob giù per una strada lunga più di otto chilometri. Ovviamente raggiungendo velocità folli. E ovviamente senza pensare che se fosse salita un’automobile ci saremmo sfracellati.
Questo succedeva in inverno. Ma quando arrivavano la primavera e l’estate non eravamo da meno in fatto di temerarietà e sfide: se ripenso agli assurdi passaggi tra i balconi dell’ottavo piano o alle vogate al largo in pattino con il mare brutto e la corrente da terra, mi domando come possa essere ancora viva.
D’altronde, fare cazzate clamorose e beffare la sorte è senza discussione una prerogativa degli adolescenti. Ma se la maggior parte di loro ha la fortuna di avere accanto un angelo custode che li protegge (lo penso davvero pur non essendo credente), alcuni, purtroppo, non hanno scampo.
Tra loro c’è Igor Maj, il quattordicenne vittima del Blackout, un gioco senza senso che circola sul Web e che prevede di comprimere la carotide fino al limite del soffocamento. Igor questo limite l’ha superato. E la sua morte ha ridato attualità a un argomento che non dovrebbe mai perderla: la voglia dei giovani di cimentarsi in esperienze rischiosissime (ne parlano anche Don Luigi Poretti e Maria Rita Parsi nell’articolo Giochi letali su Confidenze in edicola adesso).
Sia il sacerdote sia la psicoterapeuta imputano al Web una grande responsabilità nella tragedia di Maj. Io, invece, credo che l’unica colpa dei social network sia quella di rendere spropositate le dimensioni della piazzetta o dell’oratorio.
Cerco di spiegarmi: se ai nostri tempi per sentirci gratificati ci bastava l’approvazione dei quattro gatti con cui ci incontravamo (appunto) in piazzetta o all’oratorio, i ragazzi di oggi devono vedersela con il numero ben più elevato dei loro follower. E se una volta eventuali new entry nella compagnia venivano considerate eventi epocali, adesso passare da 2037 a 2118 amici nel giro di poche ore è la normalità.
Ecco, questa secondo me è la grande differenza tra le vecchie e la nuova generazione. Ma la natura dei giovani di allora e di quelli di adesso è sempre la stessa: illusi di essere immortali, desiderosi di ricevere consensi e bisognosi di misurarsi nella collettività, non si pongono limiti. Non solo: privi di esperienza e di buon senso, non si soffermano neppure un attimo sulle conseguenze che potrebbero avere le loro azioni.
Quando tutto va bene, questo è il bello di essere ragazzini. Mettere il naso fuori casa e muovere i primi passi lontani dal controllo dei genitori regala la meravigliosa convinzione di avere finalmente il mondo in mano, nonostante non si sappia ancora nulla della vita. Ma se le cose vanno storte, quella vita non verrà mai vissuta. Indipendentemente dall’avvento del Web.
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