Com’è cambiato il rapporto tra italiani e scienza dopo il Covid-19? I nostri connazionali si fidano di più o di meno di scienziati e ricercatori? In questi mesi abbiamo assistito da un lato a una riscossa del valore della scienza e della ricerca, che da territorio per pochi esperti, è diventato di colpo un’arena televisiva dove si alternano epidemiologi e virologi di fama mondiale, ma dall’altro ci siamo trovati davanti informazioni spesso contraddittorie o riportate in modo poco preciso, con il risultato che, specie nelle prime settimane della pandemia, non si capiva se fossimo in presenza solo di una brutta influenza o di un contagio di proporzioni planetarie come poi si è dimostrato essere.
A dire come è mutato il rapporto tra italiani e scienziati viene in aiuto una ricerca condotta a fine maggio 2020 per il secondo anno consecutivo da AstraRicerche per Yakult Italia (azienda leader nei probiotici) su un campione rappresentativo della popolazione italiana tra i 18 e i 65 anni (1.019 interviste).
Intanto gli italiani si dichiarano appassionati ai temi scientifici nell’ 80% dei casi: si informano attraverso tv e giornali e vogliono restare continuamente aggiornati. Anche se in questi ultimi mesi è stato riscontrato un lieve allontanamento dovuto appunto alla cosiddetta “infodemia” (ovvero il proliferare di troppe informazioni spesso contraddittorie).
Due su cinque però fa fatica a capire gli argomenti scientifici e denuncia un bisogno di semplificazione da parte dei media nel riportare le notizie.
Ancora, 4 su 10 non sa a chi dare retta, e quali scoperte ritenere valide. E qui è venuto alla luce il tema dell’affidabilità degli scienziati, portato alla ribalta proprio dal Covid-19.
In generale la percezione che le persone hanno degli scienziati è molto buona: l’80% si fida di loro e mostra di avere una stima e un riconoscimento del valore della loro professione (due su tre vorrebbe per suo figlio un avvenire da scienziato). E l’80% dichiara che “si dovrebbero ascoltare maggiormente gli scienziati prima di prendere decisioni sul futuro dei Paesi e del Pianeta” (come si vede dal grafico qua sotto).
Ma nonostante il 73% degli intervistati affermi che la credibilità di una notizia scientifica sia strettamente legata a pubblicazioni approvate dalla comunità scientifica, il fattore che sembra dare maggiore credibilità a una notizia è quello della vicinanza. Si tende infatti a credere a scienziati, istituzioni e notizie con cui sentiamo di avere qualcosa in comune: la voce di un’università nota pesa quindi di più di quella di organismi internazionali lontani come l’OMS, e circa metà degli intervistati dichiara di credere a una notizia se essa conferma qualcosa che già sa o se la sente da uno scienziato molto visto sui media. Solo un italiano su due effettua inoltre una qualche forma di fact-checking, e solo uno su tre controlla se la notizia riporta una fonte.
Un altro dato che fa riflettere è che la maggioranza degli intervistati ritiene che le grandi scoperte scientifiche si siano fermate ai secoli scorsi, come se negli ultimi cinquant’anni la ricerca non avesse condotto a risultati importanti. E questo traspare molto bene dalla classifica redatta sugli scienziati-simbolo della storia dell’umanità: al primo posto resta sempre Einstein indicato dal 47% degli intervistati, seguito da Leonardo da Vinci e Galileo (indicati rispettivamente dal 10%) e poi da Newton (5%) e da Darwin (3%). Per dire, il Premio Nobel per la medicina Rita Levi Montalcini è solo all’ottavo posto (2%) e l’astrofisica Margherita Hack all’ultimo, tanto per rimarcare il dato che la ricerca scientifica nella testa degli italiani si declina al maschile (secondo gli intervistati all’80% è fatta da uomini e solo al 20% da donne).
«La percezione è che ci sia un po’ una mancanza di eroi» ha detto Barbara Gallavotti, giornalista scientifica, autrice di Superquark RAI e Consigliere per il Coordinamento Scientifico del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, commentando la ricerca.
«Gli italiani non hanno colto come a partire dagli anni Cinquanta ciò che sappiamo di nuovo sul Dna e sulla fisica si deve invece a scoperte recenti (per esempio la mappatura del genoma umano)».
Il problema della scienza, spiega la Gallavotti, sono i tempi lunghi con cui procede la ricerca.
E questo si è visto molto bene in questi mesi con lo studio del vaccino del Covid-19. Davanti a un’epidemia che ci ha messo pochissime settimane a dilagare in tutto il mondo ci si è trovati impreparati a fronteggiarla con metodi che non fossero lo stare chiusi in casa come si faceva nel Medioevo. E questo perché lo sviluppo di un vaccino per un virus ancora sconosciuto richiede tempi molto lunghi che mal si accordano con la richiesta di fare presto che proviene dall’opinione pubblica.
Secondo gli italiani infatti perché la scienza dia risposte chiare davanti a un fenomeno ci vuole meno di un anno (per 1 su 2) e addirittura meno di sei mesi per 1 su 5. «Probabilmente» commenta Cosimo Finzi, direttore di AstraRicerche «l’attesa pressante di un vaccino contro il Coronavirus è una “molla” che spinge molto in alto le aspettative sulla rapidità dei tempi, nonostante lo stesso mondo scientifico abbia più volte avvisato della necessità di tempi ben maggiori».
Così mentre negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a una rapidissima evoluzione della tecnologia con un impatto evidente sulle nostre vite, si pensi solo all’utilizzo dei computer, di Internet e degli smartphone, la scienza sembra aver proceduto più lentamente (anche grazie agli scarsi finanziamenti disponibili).
Non stupisce quindi se alla domanda che impatto ha la scienza sulla nostra vita solo il 53% degli intervistati abbia risposto che essa serve a curare e prevenire nuove malattie e solo il 37% che grazie alla scienza la nostra vita media si è allungata.
«Non dimentichiamoci» ha concluso la Gallavotti «che nel 1901 l’aspettativa di vita in Italia era di 40 anni, mentre oggi supera gli 80». Insomma agli italiani la scienza piace, si interessano e vogliono seguirla, ma non ne percepiscono la vicinanza nella vita di tutti i giorni e forse alcuni negli ultimi anni l’hanno anche sostituita con la tecnologia, che non è la stessa cosa.
L’evoluzione rapidissima dell’informatica e l’impatto evidente che essa ha avuto sulle nostre vite (si pensi solo all’utilizzo di computer, Internet e smartphone) ha in parte appiattito anche la scienza sulla tecnologia. Forse l’epidemia del Covid-19 è l’occasione per riscoprire di nuovo l’importanza e a vicinanza di discipline come la microbiologia nelle nostre vite, proprio com’era stato ai tempi di Pasteur, il famoso micriobiologo francese che nel 1885 inaugurò l’era dei vaccini per prevenire le malattie infettive nell’uomo.
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