Non mi sono mai truccata in vita mia, nemmeno nel giorno del matrimonio. Lo smalto sulle unghie è per me un perfetto sconosciuto. Nell’arco delle 24 ore mi pettino al massimo tre volte. E muovendomi solo in moto, reputo inutile andare a fare la piega, visto che la schiaccerei con il casco dopo un nano secondo.
Insomma, pur essendo una beauty editor e lavorando nel magico mondo dei cosmetici, non mi si può certo definire una persona dedita in modo maniacale al proprio aspetto. Tant’è che docciaschiuma, shampoo, crema viso ed emulsione corpo sono gli unici ingredienti della mia routine di cura quotidiana.
Detto questo, per mantenere un’aria vagamente femminile fisso anch’io i miei appuntamenti con il parrucchiere e con l’estetista.
Peccato che negli ultimi 46 giorni (sono in isolamento dall’8 marzo) di tali figure ho completamente perso le tracce nonostante, come tutte le donne in questo periodo, inizi ad averne urgente bisogno.
Quando riapriranno i saloni di bellezza, però, non è ancora dato a sapersi. Quindi, nell’attesa ho deciso di organizzarmi come posso.
Per quel che riguarda i capelli, per esempio, fingo che il bicolore accompagnato dalle doppie punte sia all’ultimo grido. Cioè, quello che lancio io tutte le mattine appena mi guardo allo specchio.
Certo, esistono le tinte casalinghe (le trovate nell’articolo Come dal parrucchiere, su Confidenze in edicola adesso). Però, sono ben altra cosa rispetto ai colpi di sole di cui necessito io. E di tentare il fai-da-te non me la sento, perché comporta un rischio troppo grosso: ritrovarmi comunque con la capigliatura metà scura e metà chiara. Ma con orribili ciocche verticali troppo sbiadite, invece della classica rigaccia netta orizzontale effetto papalina.
Molto meglio (o meno peggio, a seconda dei punti di vista) una testa “californiana” con radici nel colore della terra (in fondo sono radici) e lunghezze dorate, piuttosto che una specie di manto da tigre, con striature degne del Bengala.
Per quel che riguarda le cerette, invece, ho preso una decisione forte: rimandare il problema alla fine del lockdown. Aiutata dai miei colori nordici, non mi sono ancora trasformata del tutto in una tarantola. E visto che per un pezzo non avrò la minima occasione di mettermi in costume, posso far finta di niente ancora per un po’.
Il cruccio vero, quindi, rimangono i piedi. Che coccolo tutti i giorni con pietra pomice e creme ammorbidenti, ma che rimangono la mia grande ansia per un motivo che non crederete mai: non sono capace di tagliare le unghie (quelle delle mani invece sì).
A un certo punto della quarantena, però, mi sono resa conto che era indispensabile intervenire comunque. E se otto dita in qualche modo le ho sistemate, gli alluci si sono rivelati un dramma. Perché i patetici tentativi di tranciare via qualcosa hanno effettivamente sortito una lunghezza meno evidente, ma così frastagliata da sembrare la costa della Grecia. E dentellata al punto da rendere i miei piedi più taglienti di un coltello per il pane.
Ecco perché sorrido quando sento la gente dire che il primo giorno che potrà uscire farà cose mirabolanti: pur essendo di fondo un maschiaccio, io sogno la mia prima giornata di libertà rinchiusa in un salone di bellezza. Con le stagnole sui capelli. E il rumore della limetta sulle unghie.
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