Questione di abbinamenti è un articolo su Confidenze in edicola adesso che spiega come associare bene i cibi e scongiurare i problemi gastrointestinali.
Ovviamente, me lo sono letto tutto. Ma per curiosità più che per interesse, visto che non esistono combinazioni di alimenti che mi provochino spiacevoli fastidi né effetti collaterali.
Insomma, riesco mangiare qualsiasi cosa con la certezza di alzarmi da tavola in piena forma. E con addosso la leggerezza di una libellula anche dopo un pasto pantagruelico consumato a qualsiasi ora.
Infatti, come nel film Tre uomini e una gamba di Aldo, Giovanni e Giacomo, potrei inglobare in scioltezza una peperonata alle 8 del mattino. E se parliamo di accostamenti gastronomici, non ce n’è uno capace di mettermi a dura prova.
Anzi, molti abbinamenti stravaganti mi sono sempre sembrati del tutto normali. Fino al momento in cui qualcuno mi ha fatto notare la loro poca convenzionalità.
E’ successo un giorno dopo lo sci, quando mi sono fermata con un’amica al bar per uno spuntino.
Al bancone abbiamo ordinato entrambe un hot dog farcito di senape e maionese. Ma appena io ho chiesto una cioccolata con panna e ho iniziato ad alternare morsi al panino e sorsi a quel nettare, lei è trasecolata. Tanto da provare a convincermi che stavo organizzando un attentato al mio stomaco.
Invece, io amo mescolare i sapori che la maggior parte della gente non si sognerebbe mai di mettere insieme. E non mi riferisco alla banalità del maiale in agrodolce o della focaccia ligure tuffata nel cappuccino.
No, la vecchia Albie è capace di imprese di ben altra portata. A testimoniarlo c’è la merenda che mi sono sparata ogni notte insonne nelle settimane che hanno preceduto gli esami di maturità.
Lo snack (decisamente sostenuto) iniziava con un’intera confezione di bastoncini di pesce fritti, simpaticamente annegati nel ketchup.
Ma questo era solo un antipastino, nell’attesa che raffreddasse il tè preparato prima di mettermi a tavola. Nel quale, una volta intiepidito, spezzavo una quantità di grissini sufficiente per creare un denso pastone. Che trangugiavo a quattro palmenti.
Dopodiché, non contenta e ancora in preda a un certo languorino, mi buttavo a capofitto sul barattolo di nutella. Ma siccome finire di mangiare con il dolce non stoppa la voglia di mangiare, concludevo la scorpacciata con un sacchetto di patatine alla paprika.
Lo so che è difficile crederlo. Ma vi giuro che, nell’estate ’83, dal termine delle lezioni a scuola all’appuntamento con l’esame orale questo è stato il mio menu fisso. Lo stesso che ogni tanto mi ripropongo random, in memoria dei bei tempi andati.
E lui (il godurioso menu) non mi tradisce mai. Anzi: l’improbabile miscellanea di sapori e consistenze va giù che è un piacere. Dà grande soddisfazione a me e al mio palato vorace. E non richiede, neppure oggi, una tisana digestiva a fine pasto, come suggerisce l’articolo di Confidenze.
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